2012-10-01

Big Trouble in Little Mulptan

Sessione del 12 settembre 2012
con un pizzico del 19
e un assaggino del 26

La luce del sole, alto nel cielo, che ci accoglie ci rivela che siamo tornati alla superficie. Il paesaggio in cui ci troviamo - freddo, costellato da sterpaglia - ci fa pensare che ci troviamo da qualche parte nelle terre del Nord, probabilmente vicino alla Desolazione Sconfinata, nel Rashemen. E, da qualche parte qui intorno, dovrebbe esserci anche una strada che porta al luogo in cui abbiamo causato tanti problemi.

Per avere un'idea della regione, Valadriel il Paladino s'alza in volo sul proprio Pegaso, accompagnato dallo Scuro. I due individuano effettivamente una strada, che all'incirco procede da est verso ovest (o viceversa, non avendo le strade preferenze di sorta in questo campo), e intravedono anche le pietre miliari che la costellano.

Non avendo idea di quale sia la direzione migliore da prendere, il dottor Balthazar decide di rivolgersi direttamente a Kelemvor, il quale ancora ha gli incubi dall'ultima volta che è stato consultato, non troppo tempo prima. Dalla Comunione veniamo a sapere che siamo ricercati per qualcosa che abbiamo combinato e che ha a che fare con qualcuno che abbiamo ucciso; quello che è meno chiaro per il dio è in realtà ciò che ci interessa di più, ossia sapere se non appena le autorità di questo luogo metteranno le mani su di noi ci faranno fuori seduta stante. Apprendiamo inoltre che il Visage si trova ora in un'altra regione, al di fuori di un raggio di 300 km da dove ci troviamo, che ha stretto alleanze con altre creature oltre alla medusa e che ha altri nemici oltre a noi. Ecco, speriamo lo trovino prima loro.

Capita un po' meglio la situazione, decidiamo che abbiamo rimandato fin troppo. No, non a pagare per gli orribili delitti che certamente abbiamo compiuto, ma a indagare su che cosa sia questo misterioso tesoro della medusa. Versiamo quindi il bitume contenuto nell'anfora, il quale cola e si sparpaglia proprio come ci si aspetta che un bitume ben educato faccia, e forma una chiazza che s'arresta dopo aver raggiunto poco più di un metro di larghezza. L'erba che vi si trova immersa inizia ad affondare, quindi il bitume collassa aprendo quello che pare un corto cunicolo che dà su un pavimento a una decina di metri di distanza.

Dato che siamo svegli come delle faine, abbiamo versato il bitume per terra e non su una superficie verticale, dove avrebbe formato una comoda porta (a nostra discolpa possiamo dire che non ci sono in zona rocce che possano servire al nostro scopo): ci tocca così affrontare una nuova - per quanto ridotta - scalata, dopo che l'ultima è andata così bene, specie quando Balthazar ci ha fatti precipitare tutti quanti. Dopo i litigi di rito - Vai tu, vado io, andiamo insieme, non ci passiamo, torna su, torna su te, allora scendo, se non vi muovete scendo da solo - vediamo che il buco porta in una caverna che misura in maniera abbastanza regolare 6x6x6 metri. In un angolino vediamo una cassa, accanto alla quale c'è un sacco; nulla di tutto ciò è magico, e non vi sono trappole. Kairos si fa avanti e apre entrambi i contenitori. Nella complesso troviamo un pugnale, un amuleto, un anello, un mantello, una coppia di bracciali, due armature apparentemente di scaglie ma molto grandi, un arco, un sacchetto con due pozioni, una pergamena e due oggetti strani: una piramide a tre facce di cristallo i cui lati misurano una spanna e una tiara tempestata di piccoli smeraldi, intagliata d'argento con un motivo di foglie. Il pugnale, le armature, l'arco, l'amuleto, l'anello, i bracciali, il mantello, le pozioni e la pergamena sono magici. Il pugnale mostra una fattura particolare, molto intricata, e un fodero complesso di robusta pelle lavorata; l'elsa e il fodero, insieme, formano un artiglio.

Dopo aver richiuso l'apertura come ci hanno insegnato, partiamo Camminando nel vento verso sud ovest, seguendo la strada; durante il viaggio incrociamo una piccola carovana (6 o 7 carri coperti) scortata da uomini a cavallo, con lunghe barbe, capelli lunghissimi e coperti di tatuaggi, che indossano grandi pellicce e portano grandi armi, i quali però non fanno caso a noi. Dopo un po' passiamo vicini a un edificio affiancato da un recinto con molte decine di rothé e oltre ancora vediamo due grandi mandrie. Quindi, dopo circa un'ora e mezza di viaggio, vediamo davanti a noi degli edifici e delle mura: abbiamo trovato una città. A un paio di chilometri dalle mura, torniamo corporei.

La strada è affollata e la città pare molto grande (deve contenere molte migliaia di persone); molta gente è abbigliata come i carovanieri che abbiamo incontrato e porta decorazioni di ossa o legno; c'è anche un gruppo vestito di grandi tuniche colorate e cappelli a cono largo, con ai piedi strane scarpe (le persone, non i cappelli), occhi a mandorla e la pelle di una tinta che noi non abbiamo mai visto. In pratica siamo finiti a Chinatown. Speriamo solo non appaia Lo Pen.

Avanziamo baldanzosi sulla strada larga e ci avviciniamo alle mura, che sono alte 5 o 6 metri e realizzate in robusta pietra grigia e tra le quali si apre una grande porta costituita da tronchi. Balthazar fa per staccarsi dal gruppo quando s'ode un alto fischio al quale segue un fuggi-fuggi generale, ma non è quello che ci preoccupa; il grosso guaio (a Chinatown, per l'appunto) inizia a palesarsi quando dal terreno intorno a noi spunta una dozzina di figure che ci circonda: sono grandi, grossi, indossano robuste pellicce e hanno in pugno asce e grandi spade.

Il lato più inquietante non è tanto l'equipaggiamento, quanto il fatto che le loro facce paiono scolpite nella pietra. Non si muovono, nonostante Golia e Balthazar inizino a battibeccare proprio davanti a loro; oppure si stanno solo godendo lo spettacolo. Dopo un po', una delle figure avanza, ci guarda e parla in una lingua che solo Balthazar capisce e che, per questo, il chierico traduce per noi in maniera impeccabile. Esatto, proprio come Guido.

Così, cercando di vincere il carro armato, gettiamo tutte le nostre armi e, sotto minaccia di morte, veniamo condotti legati dal Multrong (che dev'essere una roba tipo Megatron), il quale ci ascolterà in attesa che venga emesso il giudizio finale. Attraversiamo così diverse vie della città e strade ampie, e tutte le persone che incontriamo ci guardano molto ma molto male; dev'essere - ci pare di capire - perché l'ultima volta che siamo stati qui abbiamo causato la morte di diverse decine di persone. Alla fine approdiamo davanti a un edificio sopra l'ingresso del quale vi sono due spade incrociate e che costituiscono il maggior sfoggio di metallo visto sinora; ci distraiamo un attimo osservando le risse che prendono vita qua e là lungo la strada nell'indifferenza totale e, a 10 metri dall'ingresso, ci spingono a terra. Dopo qualche minuto - ed è ormai quasi il tramonto - arriva un tizio con bracciali e una cotta di maglia sotto la pelliccia, con i capelli molto lunghi; sputa per terra, chiamo quello che ha parlato prima con Balthazar e poi si rivolge a noi in Comune: «Avete avuto una grande faccia tosta a tornare qui dopo quello che avete fatto. Non pensavo che vi avrei rivisti così in fretta. Avete in mente qualche progetto?».

Balbettiamo qualcosa circa il voler rimediare al danno fatto, se solo ci spiegassero che accidenti abbiamo combinato, e per tutta risposta ci viene detto che entro due albe arriverà colei che ci giudicherà. Nel frattempo, saremo graditi ospiti delle prigioni, che si trovano al di sotto di un edificio non molto lontano, e le cui celle sono costituite da buchi scavati nella terra chiusi da un coperchio. Per i successivi due giorni ci daranno da bere ma non da mangiare e, prima di imprigionarci, ci confischeranno tutto il confiscabile, vestiti compresi; a ben vedere, l'esperienza più sgradevole di questo periodo è scoprire nel modo peggiore possibile che Golia non porta biancheria intima sotto l'armatura.

Trascorse un paio d'ore dal sorgere della seconda alba, ci tirano fuori dalle prigioni e ci rivestono con degli indumenti che non sono i nostri. Scortati, veniamo condotti al centro di un cerchio costituito da una spessa spiepe dove ci sono delle panche e cinque persone ci aspettano: il tizio con la cotta (non nel senso che gli piace uno di noi, ma nel senso che ha l'armatura), quello che ha parlato con Balthazar, un altro barbaro e due figure in vesti femminili, adorne di gioielli d'oro e dai volti coperti da maschere. L'una indossa una maschera completamente bianca con due strisce rosse verticali che attravesano gli occhi, l'altra porta una maschera verde e ore e che copre solo la parte superiore del volto, mentre al di sotto pendono delle catenelle, che immaginiamo siano l'equivalente locale dei lecca-lecca.

Non appena ci sediamo, quella con la maschera rossa si presenta come il nostro giudice. «Chiamatemi Amica» ci dice, quindi spiega che la compagna è Mayla, la quale l'aiuterà a prendere la decisione più saggia.

Tutto va un po' meglio di come temevamo. Tanto per cominciare non ci condannano a morte. Non a morte immediata, per lo meno. Poi ci spiegano che ci troviamo nella città di Mulptan, e si informano sui nostri progetti e su quanto sappiamo sul Visage. Ci dicono poi che, l'altra volta che siamo passati di qui, non solo abbiamo attaccato gli Artigli della città ma due clan hanno subito delle grosse perdite: abbiamo infatti condotto via diverse persone di Mupltan, ed è persino superfluo dire che nessuna di loro ha fatto ritorno. Peraltro, insieme a noi c'erano altre due persone, e infine abbiamo fatto perdere le nostre tracce.

Le nostre giudici affermano di non poter passare sopra le nostre azioni, e tuttavia al momento le nostre vite non sono in pericolo; il giudizio finale sarà emesso questa sera, dopo il tramonto. Quindi ci lasciano.

Alla sera, tornano tutti e cinque. Tutti concordano che è nel loro interesse capire e seguire i movimenti del Visage: vogliono sapere dove abbiamo portato le persone rapite e capire perché siamo stati scelti proprio noi («forse perché siamo dei tali creduloni» è al momento l'ipotesi più probabile, ma la teniamo per noi). Quindi, siamo stati scelti come volontari per accompagnarli a cercare qualche indizio, seguendo le tracce che abbiamo lasciato la volta scorsa. Per stasera ci forniranno cibo e alloggio (non si torna in galera, evvai!) e ci saranno resi subito simboli sacri e libri; l'indomani ci ridaranno il resto dell'equipaggiamento. Siamo sempre sorvegliati, ma almeno possiamo lavarci e mangiare come si deve.

Amica spiega che il luogo cui siamo diretti si trova a 3 giorni di cavalcata verso est da qui: si tratta di rovine incantate e chiamate L'anello delle fiamme grigie, ed è un posto dove la magia clericale subisce strani effetti. Considerato che tra noi c'è un solo usufruitore di magia arcana, ci sentiamo in una botte di ferro. Come Attilio Regolo.

Il riassunto dei giorni successivi arriva in maniera frammentaria a causa dell'assenza dello storico, ma i punti chiave sono:

  • Arriviamo all'Anello delle fiamme grigie, dove in effetti ci sono alcune "ciminiere" in cima alle quali bruciano delle fiamme grigie e avvicinandosi alle quali la magia divina fatica a funzionare.
  • La zona è sorvegliata da alcuni incantesimi viventi; iniziamo a scontrarci con quella che pare una sfera prismatica e poi, attirato da Balthazar che aveva provato a dirigersi verso la ciminiera più vicina a velocità Warp, contro un altro incantesimo di cui non ricordo proprio la natura
  • Un attimo prima che veniamo spazzati tutti via, Faelar com'è sua abitudine si ricorda all'improvviso di avere dei poteri e fa apparire un drago adulto d'ametista, il quale ha in poco tempo ragione dei due incantesimi viventi (aiutato, peraltro, dall'enorme quantità di frecce che Golia ha continuato a lanciare verso al Sfera Prismatica).
  • Grazie a Balthazar recuperiamo il Paladino, che era stato traslato sul Piano Elementale dell'Aria, utilizzando peraltro un piano di salvataggio che funziona come un orologio svizzero. Il che ci fa temere che abbiamo orami esaurito la nostra scorta di buona fortuna.
  • A condire la situazione, apprendiamo di essere seguiti da un misterioso essere a forma di lupo.
  • In tutto questo i nostri accompagnatori si sono tenuti ben a distanza di sicurezza, il che ci fa sospettare che dopotutto ci abbiamo davvero condannato a morte, solo in maniera molto elaborata.

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Ipse dixit

  • Il giocatore dello Scuro sta guardando perplesso la lavagnetta che riporta l'iniziativa. Perplesso perché, laddove dovrebbe esserci il nome di Golia, c'è una sigla che non riesce a sciogliere. Scuro: «GSRO?». Golia (fiero): «Golia Schmitz Rompi-Ossa!». Lo Scuro ci pensa un po' su, poi abbozza: «Vabbé, io mi chiamo Scuro, quindi...»
  • Balthazar spiega al resto del gruppo chi siano gli Artigli della Città testé citati dai nostri giudici: «Sì, dai, sono gli zii in pelliccia!»

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