2012-07-24

Come cedere l'obiettivo di un'avventura senza ricevere nulla in cambio

Sessione del 20 giugno 2012

1 Elesias 1383 + X + 1

La missione di guardia al frutteto si rivela un incarico di tutto riposo: per tre giorni non facciamo assolutamente nulla se non mangiare, dormire e assistere al concerto di un gruppo locale, i Macigni Rotolanti (non per modo di dire: si tratta davvero di macigni che si muovono in autonomia, fungono da guardiani agli ordini di Mottlegrasp e che, siccome da queste parti succede poco, si tengono occupati dandosi alla musica rock in senso letterale).

Nonostante l'ozio ci travolga riusciamo persino a scoprire che il focus necessario per tornare al Primo Piano Materiale è un diapason d'acciaio, e ci appuntiamo mentalmente di chiederne uno al nostro ospite quando questi dovesse tornare, cosa che ci auguriamo capiti il più tardi possibile.

Sfortunatamente, il quarto giorno della nostra permanenza Mottlegrasp decide di ricomparire verso la metà della giornata: guida un mulo carico di casse che poi vengono depositate su dischi luminosi e fluttuano in casa. Il mago ci ringrazia dell'aiuto e s'informa circa i nostri piani, domanda di fronte alla quale restiamo un attimo titubanti: all'improvviso rivelare che pensavamo di restarcene in panciolle a sue spese per il resto dei nostri giorni non pare più un'idea tanto brillante, e cerchiamo di trarci d'impaccio con una frase vacua che ammantiamo di quella che speriamo essere misteriosa importanza. «Forse torneremo da dove siamo venuti, forse no...» buttiamo lì, nella speranza che non voglia farci altre domande. Per sviare il discorso, Balthazar chiede - e ottiene - il diapason tanto agognato.

A questo punto Valadriel si riscuote e s'apparta per parlare a tu per tu con Mottlegrasp a proposito del disco; il mago non sa di che cosa si tatti, ma si offre di studiarlo per un po': al momento individua soltanto una tenue aura magica di divinazione. L'indomani saprà dirci di più.

Guadagnato così il diritto di passare qui un'altra notte - per cause di forza maggiore, non certo per la nostra cupida volontà di accaparrarci ancora un po' le comodità messeci a disposizione - ci rechiamo nelle nostre stanze.

Il ritorno del mago coincide però con la fine della tranquillità. Il riposo è funestato da un sogno che facciamo tutti: ci appare la stanza dei sarcofagi, ormai in rovina e parzialmente sommersa, e riviviamo il combattimento contro i due golem. Poi i resti delle statue si animano e due sagome nere, dai contorni incerti, si levano e paiono diventare grandi come montagne; una sensazione di folle terrore c'invade, prendiamo a fuggire e ci svegliamo.

Al mattino, Mottlegrasp è pronto a fornirci il proprio rapporto, che è sorprendentemente breve: tutto ciò che il disco fa è trasmettere un segnale quando viene rotto; la parte misteriosa è che non c'è verso di capire a chi sia indirizzato detto segnale.

A malincuore, capiamo che ormai è giunto il tempo di partire, aiutati in questo dal fatto che il mago ha tutta l'aria di chi ha in serbo un'infinita serie di lavoretti per quanti volessero rimanere a fargli compagnia. E noi, che preferiamo morte certa a qualsiasi tipo di lavoro, capiamo l'antifona al volo.

Ci allontaniamo di una mezza giornata di cammino, procedendo in direzione del villaggio che si trova a tre giorni di marcia dalla casa di Mottlegrasp. La distanza di sicurezza è stata valutata in maniera tale che, qualunque disgrazia la nostra prossima mossa possa scatenare, difficilmente riesca a raggiungere il Gentile Ospite che tuttavia mai vorremmo vedere adirato perché gli abbiamo involontariamente incenerito il frutteto.

Tale mossa è, in effetti, potenzialmente pericolosa, dato che non ne conosciamo gli effetti (come di quasi tutto quello che facciamo, a ben pensarci): decidiamo infatti di rompere il disco nutrendo la flebile speranza che il segnale non serva ad attirare su di noi le orde degli inferi.

Per sicurezza, Valadriel romperà il disco mentre tutti ci terremo stretti a lui. Non appena il paladino compie il gesto, s'ode un tintinnio molto forte, un rintocco armonico, ma poi non succede nulla. Il rintocco però seguita a farsi sentire e la nota che udiamo pare assumere un colore: ci sembra di vedere un suono color verde smeraldo, molto intenso. Mentre ci chiediamo se per caso all'interno del disco non si celasse della roba molto buona, ci accorgiamo che qualcosa si dirige verso di noi a grande velocità: pare uno sciame di schegge luminose che all'ultimo momento si separano; ognuna di esse, di un colore leggermente diverso dall'altra, colpisce uno di noi. Abbagliati dalla luce, ci sentiamo come tirati in tre direzioni diverse.

Stiamo volando in un luogo oscuro. Attraversiamo velocissimi intricati disegni luminosi e poi, bruscamente, atterriamo barcollando, ancora abbagliati. Quando recuperiamo la vista scopriamo di trovarci su un piacevole e fresco prato verde, dall'erba bassa e ben curata. Intorno a noi vi sono alberi, mentre il cielo azzuro ha uno strano aspetto "slavato"; la cosa più strana, tuttavia, è che non riusciamo a vedere il sole.

Qualcuno tossicchia alle nostre spalle. Seduta a un basso tavolino di pietra, una figura umanoide alta e allampanata attira la nostra attenzione: pare una statua di candido marmo, ma abbigliata con una lunga veste grigia e con piccole borse che le pendono dalla cintura.

Quando s'inchina verso di noi e ci dice «Bentornati» capiamo che non è una statua. Non perché statue in grado di muoversi siano una rarità, ma perché generalmente le statue in grado di muoversi ci pestano a sangue, mica ci salutano cordialmente.

Evidentemente il pallidone ci conosce, ma i nostri sguardi da cernia gli fanno capire immediatamente che noi non ricordiamo lui. «Il vostro ritorno qui avrebbe dovuto farvi ricordare tutto» mormora perplesso l'ospite, il quale rapidamente ci informa che siamo partiti da qui - un luogo in cui nessun "esterno" metteva piede da 3.000 anni - sei giorni prima.

Ci troviamo - ci viene spiegato apparentemente per la seconda volta - nella grande e magnifica città del Profondo Imaskar. I due chierici e lo Scuro conoscono, almeno di fama, questo nome, e sanno che si trova al di sotto dei continenti di Toril.

La statua-che-statua-non-è si chiama Drayleh e ci conduce quindi in un posto più tranquillo di questo, che apprendiamo essere la Corte di Giustizia. Prima di andare ci fa bere dei cordiali - un liquore azzurro dall'intenso profumo, molto forte, a base du funghi - preparati apposta per noi e ci indica degli abiti, poggiati sul tavolino, che ci permetteranno di confonderci un po' meglio tra gli abitanti locali.

Gli abiti sono completi di manto e di cappuccio che, tirato sul volto, l'oscura completamente; comodi, sono fatti di seta pura. L'ultimo dettaglio prima di allontanarci da qui consiste nell'avvolgere con uno spago speciale gli oggetti che forniscono uno spazio extradimensionale: senza questo accorgimento, infatti, se entrassimo in un edificio esploderebbero.

Ci spostiamo nel palazzo di Drayleh, il quale prende a chiederci già mentre camminiamo delle parole dell'oracolo, usando - notiamo - un linguaggio arcaico. Drayleh ci guida verso due alberi, nello spazio tra i quali l'aria diventa come più scura e lascia intravvedere un corridoio di marmo, sormontato da una volta a botte e decorato con sculture e bassorilievi. Entriamo, e vediamo che due figure, anch'esse simili a statue e delle quali una tiene in mano una lunga verga di legno, ci seguono a una certa distanza.

Il corridoio termina con dei gradini in discesa; si apre quindi uno spazio, un'enorme caverna. Il paesaggio è costituito da grandi edifici di diverse forme geometriche e tutti policromi; la caverna - stimiamo - dev'essere larga almeno 15 km ed è molto lunga. Gli edifici sono costruiti anche sulle pareti curve, e tra di essi vi sono diverse passerelle; la città è tutt'altro che deserta: notiamo diverse figure che vi si muovono, alcune delle quali volando.

Sopra le nostre teste notiamo drappeggiati diversi teli e stoffe colorati, resi laceri dal tempo, e sul fondo della caverna una specie di complicato disegno che pare ritrarre un sole e somiglia moltissimo a quello che abbiamo visto sulle porte nella ziqqurat; sembra decisamente un sigillo magico, ma è grande molte centinaia di metri, ed è questo che illumina la caverna.

Mentre avanziamo, notiamo persone circonfuse da auree luminose e vestite in modi diversi. Giungiamo ai piedi di una torre e iniziamo a salire lungo una scala a chiocciola esterna; poi attraversiamo un arco, quindi un balconcino che si trova ad almeno 20 metri dal suolo e quindi, quando ci siamo completamente persi e stiamo per dare di stomaco, ci fermiamo in una torre larga una dozzina di metri che però include una stanza che misura 10x10 metri; e dà su alcune porte che contengono altrettante stanze. Mentre stiamo sospettando di aver sbagliato avventura e di essere finiti in un TARDIS, prendiamo nota dell'arredamento - siamo in quello che pare un enorme atrio, ornato con statue, colonne e stoffe colorate - e due esseri ci vengono incontro, inchinandosi, e si offrono di prendere i nostri mantelli.

Veniamo condotti verso una porta, oltre la quale si apre un corridoio lungo una decina di metri, in fondo al quale s'apre una finestra e sulla pareti del quale vediamo alcune porte. Nel breve tragitto Balthazar attiva la modalità guida turistica e spiega che Imaskare era uno dei più grandi imperi magici del passato, decaduto e distrutto migliaia di anni fa. Il posto in cui siamo non dovrebbe esistere: Imaskar è stato completamente distrutto da una rivolta di schiavi. Cerchiamo di far sì che la notizia non arrivi alle orecchie di Drayleh, per timore che si renda conto all'improvviso di non dover esistere e scompaia all'improvviso insieme a tutta la torre, facendoci precipiatare sul fondo della caverna con un effetto Wile E. Coyote in piena regola.

Ci fermiamo finalmente in una stanza sfavillante di luce e stoffe dorate. Vi sono comode poltrone, morbidi cuscini, una fontana, un letto invitante e, mai sottovalutarlo, un lauto banchetto. Altro che Mottlegrasp.

Drayleh interrompe la contemplazione di tutto quel ben degli dei per chiederci nuovamente delle parole dell'oracolo, essendo già stato ignorato una volta. A noi piacerebbe tuttavia sapere chi è lui; fraintendendo la domanda - ci basterebbe un «Quello che vi sfama e vi fa riposare» - ci spiega di essere il Custode degli approcci (sospettiamo che si tratti di una sorta di pappone locale, l'arredamento pacchiano parrebbe confermare) e di seguire quel gruppo di abitanti di Imaskar autorizzato dal Lord Pianificatore a occuparsi del mondo esterno. Alcuni dei suoi uomini ci hanno incontrati mentre cercavamo un oggetto che per loro ha un'enorme importanza - e di cui noi, naturalmente, non abbiamo memoria - e, poiché nessuno avrebbe dovuto conoscerlo, anziché farci a pezzi seduta stante hanno deciso di conoscerci un po' meglio, intuendo probabilmente che come minaccia siamo scarsini, ma come intrattenimento comico involontario potremmo essere impagabili.

Il grande sigillo che abbiamo notato sulla caverna - spiega Drayleh - protegge, nasconde e permette l'esistenza stessa della città; non appena usciremo da qui dimenticheremo tutto, come in effetti è già successo. La cosa strana è che tornando avremmo dovuto ricordare, o agli Imaskariani viene la gola secca a rispiegare da capo ogni cosa tutte le volte. Sarà per quello che hanno pochissimi contatti con gli esterni.

In ogni caso, *lui* non s'è dimenticato e si aspetta che gli riportiamo le due tavolette di alabastro che gli avevamo promesso; la terza - ci racconta - è già in città, ed è uno dei simboli dell'autorità del Lord Pianificatore. Potevamo così divinarla...

L'ultima volta che abbiamo chiacchierato con Drayleh (che si scrive "abbiamo chiacchierato con" ma si legge "siamo stati interrogati da") stavamo indagando sulla scomparsa di un potente artefatto: avevamo parlato delle Tavolette di Ao (che non sono quelle di alabastro, sennò sarebbe troppo facile), chiamate anche Le tavolette del fato, che sono 4, 5 o 9. Forse eravamo stati mandati da qualcuno - lui non lo sa e noi non ce lo ricordiamo - e tanto per aggiungere particolari inquietanti a particolari inquietanti ci specifica che stavamo indagando sulla sparizione «passata o possibile futura» di quegli oggetti.

Il disco di Valadriel, invece, ce l'aveva dato proprio lui: era l'unico modo di avvisarlo del fatto che la nostra missione aveva avuto successo.

Le tavolette che abbiamo riportato sono uno degli antichi simboli di potere della città. Erano state scolpite sullo stampo di una delle tavolette del fato e la loro riunificazione potrebbe dare un indizio su dove si trovi ora, o in futuro, quello che stiamo cercando.

Poniamo alcune domande su Valek, il cui nome ci ha perseguitato mentre eravamo nella necropoli, e scopriamo che era un tipo particolarmente infame, un negromante, membro della prima famiglia che spostò la città nel sottosuolo e che se ne andò prima che il sigillo venisse chiuso.

La raccolta di informazioni comprende due parole sui braccialetti - sono di antica fabbricazione di Imaskar, ma andrebbero studiati per saperne qualcosa di più - e la notizia secondo la quale probabilmente avremo la riconoscenza del Lord Pianificatore in persona, al quale cederemo le tavolette senza che alcuno, in tutto questo ciacolare, abbia accennato minimamente a una ricompensa.

La sessione termina il 1 Elesias 1383 + X + 5

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Ipse dixit

  • Qualcuno riflette sulla composizione del gruppo: «Non avete un mago, non avete un guerriero... ma che fate? Tutti chierici e minchioni!« (lo storico si sente rassicurato perché interpreta un chierico, eppure non potrebbe giurare di essere escluso dalla seconda categoria)
  • Balthazar si è appena fatto consegnare un diapason d'acciaio da Mottlegrasp, come focus per Spostamento Planare verso il Primo Piano Materiale. Il mago osserva con aria interrogativa Capitan Felafel, evidentemente chiedendosi se anch'egli abbia bisogno di un attrezzo analogo, già che c'è. Conscio del fatto che il giocatore di Balthazar è Tia, il chierico di Io risponde serafico: «A me non serve. Aspetto che muoia lui...»

2012-07-23

Lost in planes

Sessione del 6 giugno 2012

1 Elesias 1383 + X. Come sempre...

Dopo non molto tempo la luminosità inizia a scemare e, tuttora chiusi nella stanza in cui s'è svolto il combattimento, ci concentriamo pacatamente sul problema più immediato: dove accidenti sarà la tavoletta mancante? Balthazar tenta, speranzoso, con un Localizza oggetto, ma senza risultato.

La statua che in origine teneva nelle mani le tavolette, e che era fatta di pietra bianca, ora sta assumendo un colore scuro: venature nere si diffondono sul corpo della figura raffigurata partendo dalla corona che porta in testa.

Mentre il primo chierico si dà da fare nel tentativo di trovare ciò che manca perché si possa far ritorno a casa, Valadriel e Faelar controllano la porta: è aperta. Tutta la parte superiore della statua è ormai nera quando, resici conto che ogni ricerca è vana, decidiamo di tornare al piano di sopra.

C'è solo un piccolo particolare: la porta in cima alle scale è chiusa. Come se ciò non bastasse, quando la raggiungiamo il pavimento inizia a tremare: prima lievemente, poi con sempre maggior vigore, finché pezzi di roccia iniziano a staccarsi dal soffitto.

È Balthazar a risolvere la situazione, con uno Scolpire pietra che ci permette di bypassare la porta chiusa e ritrovarci nella stanza di pietra bianca, che sta tremando come tutto il resto e non offre una via di fuga: le porte sono chiuse e, considerata la sua natura particolare, stavolta non c'è modo di aggirarle.

Ormai l'ambiente che ci circonda trema e sussulta tanto da non riuscire a stare in piedi, e crolla intorno a noi: l'immagine di un'enorme stalattite che piomba nel lago d'acido si forma in tutte le nostre menti, ma non è questo a preoccuparci; ciò che davvero ci crea problema è che noi ci troviamo all'interno della stalattite, apparentemente senza via d'uscita.

Il prode Balthazar si offre di salvare nuovamente la giornata. Prevedendo di poter capitare in una situazione senza uscita, ha preparato tre pergamene di Spostamento planare per poter fuggire rapidamente in caso di necessità. «Vedete, questa porta in uno dei piani superiori, questa in uno dei piani inferiori, e quest... No, un momento: è questa quella che porta a... o era quest'altra? Ah, ci sono: con questa si arriva a... a... non mi ricordo più» mormora il chierico sconsolato, giustificandosi: «Si sono staccate le etichettine...».

Mentre tutto intorno a noi va in pezzi e persa ogni speranza di finire a colpo sicuro in un posto sicuro, fronteggiando la prospettiva di finire a mollo nell'acido, decidiamo per l'impensabile: diamo il via libera a Balthazar perché peschi una pergamena a caso e lanci l'incantesimo, pregando tutti gli dei che conosciamo, quelli che non conosciamo, quelli morti e anche quelli che ancora non esistono di non finire dritti dritti nell'Abisso.

Ricompariamo in una zona che possiamo definire solamente come "bucolica": prati verdi, uccellini che cantano, un ruscello che scorre, il vento che fruscia tra alberi rigogliosi con foglie verde smeraldo e l'aria che profuma di menta. Ci ritroviamo in un meraviglioso frutteto e, increduli per la sorte, intuiamo di essere finiti in uno dei piani superiori. O in uno di quelli inferiori che per via della crisi economica è cambiato drasticamente di mano.

I frutti che qui crescono hanno però qualcosa di strano: guardando meglio notiamo come sugli alberi crescano rubini, zaffiri... insomma, qui le piante paiono produrre gemme.

È solo con gran forza e facendo leva su tutte le sue capacità di persuasione - «Immagina se davvero siamo in uno dei paradisi e ti beccano a fregare le gemme... secondo te che ti fanno?» - che il Paladino riesce a condurre via l'intero gruppo, e ci dirigiamo verso il torrente; lì troviamo un sentiero che costeggia il corso d'acqua e prendiamo a seguirlo.

Mentre camminiamo diamo un'occhiata al cielo: è come se sopra di noi ci fosse il miraggio di un altro paesaggio: intuiamo così di trovarci a Bytopia, un piano composto da due livelli sovrapposti e che si "guardano".

Il ruscello forma un piccolo laghetto, poi riprende il proprio corso e alimenta un mulino ad acqua, che si trova nelle vicinanze di una casa. Sulla veranda di queta un uomo di una certa età sta fumando una pipa; lo salutiamo, ci risponde in celestiale: «È strano ricevere ospiti. Non mi aspettavo visite».

Il vecchietto pare molto gentile, e gli chiediamo ospitalità: è propenso ad aiutarci, poiché gli sembriamo affidabili dato che non abbiamo rubato le pietre che crescono sugli alberi. Un lungo sospiro di scampato pericolo che erompe da tutti noi non cambia la buona disposizione del nostro ospite. In cambio dell'ospitalità ci chiede di fargli un piccolo favore: dato che lui deve assentarsi per qualche giorno, ci domanda di fare la guardia al frutteto, dato che può capitare che qualcuno vi appaia all'improvviso e abbia cattive intenzioni, diversamente da noi che si vede subito che abbiamo delle facce oneste e mai e poi mai faremmo certe cose.

La richiesta non è poi tanto strana: come Balthazar spiega a tutti, a Bytopia sono ospitali e generosi, ma bisogna lavorare.

Il vecchietto ci porta in una costruzione in cui potremo abitare finché saremo qui; ci indica uno stipo che contiene il cibo e c'informa che partirà entro un paio d'ore.

Prima che ci lasci abbiamo modo di informarci sui dintorni, venendo a sapere che a circa 3 giorni di viaggio a cavallo c'è un villaggio.

Il nostro ospite ci saluta prima di partire: lo vediamo vestito da mago, con tanto di tunica dai colori scintillanti e un bastone di cristallo. Ci consegna un piccolo corno d'argento che ci servirà per chiamare i guardiani più vicini; quindi, come ultima informazione, ci rivela il suo nome: si chiama Mottlegrasp.

Il giorno successivo - persa ogni speranza di poter saccheggiare il frutteto in barba a quell'ingenuo vecchietto che si è rivelato un mago certamente potentissimo e che oltretutto ha fatto riferimento con affettata indifferenza a dei non meglio specificati guardiani, mannaggia a lui - ci concentriamo su quello che al momento è il problema più urgente: come si torna al Primo Piano Materiale se non abbiamo il focus adatto?

Alla ricerca di un consiglio, ci affidiamo a una Divinazione, grazie alla quale apprendiamo che «Avete ormai dimenticato che l'ultimo pezzo del rompicapo vi attende già alla fine del percorso». Siccome capiremo solo tra un po' che cosa ciò vuol dire, ci lanciamo anche con una Comunione, dalla quale non apprendiamo nulla di veramente utile, ma ci aiuta a passare il tempo.

L'unica informazione interessante che arriva dalla Comunione è il fatto che il Disco di Valadriel, apparentemente, serve per trovare l'ultima tavoletta. Chiediamo così, con una nuova Divinazione, se rompere il disco ci porterà alla fine della missione.

«Spezzare il disco di metallo vi riporterà all'inizio del cammino, dove vi attende la conclusione tanto agognata» è la risposta. Ma dato che piantare in asso il gentile vecchietto/potente mago non pare una soluzione praticabile, ci rassegnamo ad aspettarne il ritorno.

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Ipse dixit

  • Balthazar sta cercando di immaginare la terza tavoletta per trovarla con Localizza oggetto: «Allora mi immagino una tavoletta delle dimensioni di un Dylan Dog, ma fatto di alabastro...». Inutile dire che l'incantesimo non ha funzionato, vero?.
  • Seguiamo il ruscello e giungiamo in vista del mulino. Valadriel (sconsolato): «Alla fine siamo arrivati dall'Uomo Focaccina...».
  • Valadriel a Balthazar, dopo aver scoperto che siamo a Bytopia: «Sii onesto: siamo in paradiso...».

Strategia, strategia, per piccina che tu sia...

Sessione del 21 maggio 2012

...le due statue che si trovano sulle tombe più vicine al sarcofago vanno in pezzi, e dalle macerie emergono due costrutti: uno di pietra, o di metallo molto scuro, modellato in modo da avere fattezze di lupo; l'altro di metallo chiaro e luccicante, con fattezze non pervenute. Entrambi hanno simboli arcani che brillano lungo tutto il corpo.

Kristel, il cui istinto di sopravvivenza è sopravanzato unicamente dall'avidità, afferra al volo entrambe le tavole e tenta di darsi alla macchia, salvo rendersi immediatamente conto di essere rimasta intrappolata tra il fondo della stanza e due grossi e minacciosi golem. Il tempo di gettare un'occhiata più precisa - probabilmente l'ultima - al bottino (le tavolette sono traslucide, forse sono fatte di alabastro, e sottili) e i due esseri apparsi iniziano a pestare la psionica come la proverbiale zampogna.

Balthazar, un uomo le cui priorità sono ben chiare, si preoccupa innanzitutto di mettere al sicuro le tavolette nella scatola di cui è custode (e in cui ci sarebbe lo spazio per una terza tavola), trovando anche il tempo di notare come le scritte che le ricoprono non paiano appartenere ad alcun alfabeto o, quantomeno, ad alcun alfabeto conosciuto da noi: il che apre una marea di possibilità, a ben pensarci.

La porta della stanza si chiude all'improvviso, facendo svanire il piano di fuga che stava prendendo corpo nelle nostre menti: lasciare la psionica a distrarre i golem e metterci in salvo, ricordando di elevare una prece, una volta giunti in luogo sicuro, in memoria dell'eroico sacrificio della nostra insostituibile amica.

Ci volgiamo dunque tutti, minacciosi, verso i nemici. Cioè, quasi tutti. Balthazar decide che il modo migliore per sconfiggere due costrutti dall'animo irascibile è svanire per alcuni secondi, salvo tornare pesto, lacero, contuso, sanguinante e in fin di vita. E qui mi fermo solo perché ho finito gli aggettivi. Scopriremo in seguito che la capatina sul Piano Etereo, che nelle intenzioni del chierico avrebbe dovuto salvargli la vita, ha portato il prode Balthazar a fare la conoscenza degli otto spettri (spettri in armatura, per la precisione) che custodiscono gli altrettanti sepolcri presenti nella stanza e che, evidentemente, abbiamo seccato. Ma tanto ha pagato lui per tutti.

La battaglia coi golem si annuncia più complicata del previsto. Il primo colpo è messo a segno da Valadriel, che però si ritrova anche a subire i danni che avrebbe voluto infliggere. La scoperta causa in tutti i presenti un attacco di coniglite ma considerata la situazione - se li attacchiamo ci facciamo del male, se non li attacchiamo ci fanno del male loro - riesce anche a trasformarci finalmente in quella temibile macchina da guerra che un gruppo di personaggi di 15° livello dovrebbe rappresentare, mentre noi non facciamo altro che temporeggiare talmente tanto da essere ormai noti come gli Eurostar del combattimento.

Una volta che ci siamo scaldati, la faccenda diventa meno cupa di quanto sembrasse: solo uno dei due costrutti ha quel funesto potere e, complice il fatto che ogni tanto i due si scambiano le abilità, riusciamo senza troppi danni a eliminare l'incombenza. Degno di nota il fatto che, per la prima volta in anni di combattimenti, riusciamo persino a utilizzare della strategia, grazie all'uso sapiente dei muri ectoplasmatici da parte di Kristel coi quali la psionica blocca la fuga al nemico mentre gli altri lo circondano e bersagliano. È evidente che qualche sciagura grossa si prepara per noi all'orizzonte.

Non appena il secondo golem crolla in pezzi, la statua a cui abbiamo profanamente sottratto chiesto in prestito le tavolette inizia ad emettere una luce molto intensa.

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Ipse dixit

  • Kristel annuncia trionfante di essere entrata in possesso delle agognate tavolette: «Le ho prese!» grida al gruppo. «Adesso le prendono anche loro» mormora il DM in risposta, facendo attaccare i PG dai golem.
  • Lo Scuro chiede conferma al Master circa la bontà della strategia di combattimento che ha elaborato. Scuro: «Se io mi metto qua...» DM: «Sei assolutamente inutile, ma sei in una posizione coreografica...».

2012-07-22

La quiete prima della tempesta

Sessione del 17 maggio 2012 - Seconda parte

Ora che siamo nuovamente tutti riuniti, puntiamo decisi verso le scale, e iniziamo a scenderle, mentre la porta da cui è entrato Valadriel si chiude alle spalle del paladino. Mentre ci addentriamo nei meandri, passiamo vicini a una finestra che dà su un paesaggio oscuro in cui brillano dei puntini luminosi in lontananza. Osservando meglio, ci pare proprio di trovarci sul soffitto della caverna in cui si trova la necropoli, e l'orrenda sensazione di essere intrappolati in una delle grandi stalattiti che vedevamo pendere dall'alto sulla verticale di un invitantissimo lago d'acido assume consistenza non appena capiamo che cosa significasse «il basso è alto».

Scendiamo di una decina di metri, quindi ci imbattiamo per l'ennesima volta nel nostro mortale nemico: una porta. Anche questa riporta il simbolo della ziqqurat con il sole e, non appena il paladino tenta di aprirla, lascia partire un raggio verde che per fortuna non nuoce al prode quanto incauto Valadriel.

I vari tentativi di dissoluzione operati quindi da Balthazar non hanno alcun effetto, ma la cosa non ci dispiace: è ancora fresca nella nostra memoria la volta in cui l'incantesimo ha avuto successo, e siamo stati quasi sommersi da una marea d'acido.

A questo punto capitan Felafel si rende una volta tanto utile, affermando di aver preparato uno Scopri trappole proprio alla bisogna. Riesce in tal modo a scoprire quali glifi occorra premere per aprire la porta senza trasformarsi in un grazioso mucchietto di cenere, e possiamo pertanto accedere al vano successivo.

Questo consiste in una stanza quadrata in cui vi sono 9 preziosissimi sarcofagi. Otto di questi si trovano sul pavimento, disposti quattro per lato, e supportano ciascuno un'enorme statua rivolta verso la nona sepoltura, che invece si trova su una piattaforma rialzata di nove gradini ed è dotata di una statua ancora più enorme delle altre.

È questa una figura in trono, simile a quella della ziqqurat da cui abbiamo preso in prestito la corona; la differenza consiste nel fatto che tiene in ciascuna mano una lastra di pietra.

Avanziamo verso di lei, con lo Scuro sempre in forma di pipistrelli, e giungiamo sino ai piedi dei gradini; notiamo che quelle che da lontano parevano delle semplici tavole di pietra sono invece delle scatole di legno che contengono delle tavole più piccole, delle dimensioni adatte per entrare nella custodia che Balthazar possiede. Su ciascuna vi è una serie di simboli che non capiamo (non che la cosa sia per noi inusuale). Kristel rompe gli indugi, arrampicandosi sulla tomba e tenendo la mano per afferrare una tavoletta, quando all'improvviso...