2009-03-31

rimuginando

Dopo la sessione di ieri stavo rimuginando un po' di fatti...
  • il "pilotaggio dell'operato del giovane Evendur" serviva a Nefradel "solo" a distrarre Mystra, per permettere a Nefradel di poter tornare indietro nel tempo senza sottostare all'interrogatorio e senza attirare l'attenzione della Dea?
  • nel momento in cui la bacchetta degli Olin Gisir ha fermato la "ruota" c'e` stata forse un'esplosione di caos che si e` propagata anche indietro nel tempo quello che Nefradel sta per fare ora (indietro nel tempo) e questo caos si e` potuto ripercuotere sulla linea temporale alterandola. Se cosi` fosse noi non saremmo "in un'altra realta'", ma saremmo in quello che e` rimasto della nostra a seguito di cio` che Nefradel si appresta a fare alla fornace (magari non e` nemmeno a causa del suo fine ultimo, ma e` "solo" un effetto collaterale). Ricordiamo che negli appunti di Nefradel la fornace viene definita "fuori dal tempo".
  • l'elemento aria ci potrebbe servire/aiutare per individuare e/o raggiungere l'enclave di Rath?
  • quanto e` importante che incontriamo i 4 element(al)i in rapporto al fatto che la filastrocca riportata nella pagina perduta degli appunti di Mel Brakiri li citasse parlando dei guardiani e dei cancelli? E se le chiavi si acquisissero semplicemente facendo la conoscenza di tali entita`? So che questo non e` Planescape... pero` ha volte mi vengono i dubbi...
  • a proposito: ho ripensato al modo in cui Rath avrebbe potuto nascondere l'enclave... cio` che succedeva in "Laputa - castle in the sky" era questo: l'enorme castello era nascosto in una immmensa distesa di nuvole perenni in cui e` quasi impossibile volare e quel castello era diventato materia di leggenda perche` nessuno l'aveva visto da molti anni. Curiosa analogia vero? e magari Rath ha scelto di ancorare il castello al picco... perche` essendo difficile da scalare (tanto da essere ritenuto inviolato) potrebbe risolvere il problema di come "nascondere" gli ancoraggi, gli stormi di uccelli etc etc vabbe` scherzavo... tornando a fatti incontestabili cosa vi ricorda questo
    “Il monte che nessuno può scalare, la cima su cui nessuno può arrivare, l'antro in cui nessuno può entrare: ecco i tre luoghi che sono uno. Non esistevano prima che fosse aperta la fornace, che li abbia creati lui? Preesistevano, ma non c'era nessuna altra leggenda o racconto.”
    (preso pari pari da qui) quindi sembrerebbe logico dedurre che qui lo scrittore (ma chi e`?) si riferisce al picco inviolato - e cio` spiegherebbe perche` 5 anni fa Rath era li` in zona (e forse e` ancora li`).
  • perche` Rath ora sta cercando di stare isolato? Per dare delle ipotesi a riguardi mi sono soffermato a ripensare a "quando siamo" arrivati noi rispetto al suo episodio con la fornace? Siamo prima che abbia scoperto la fornace? Dopo che l'ha sigillata? O forse a meta` tra i due eventi? Sappiamo quanto gli ci e` voluto a sigillarla? Mi sa di no. Addirittura potremmo ipotizzare che lui ha deciso di nascondersi da qualche decina di anni da quando cioe` ha "trovato" la fornace, ma gli ci vuole ancora tempo per preparare i sigilli e si sta nascondendo da tutto e da tutti per non essere disturbato. Oppure piu` semplicemente l'ha gia` sigillata, ma preferisce vivere il piu` possibile in disparte in modo da custodire al meglio quel terribile segreto Pero` se ora fosse gia` sigillata del tutto, perche` Nefradel avrebbe scelto di arrivare ora e non prima?
Altre domande su cose che potrebbero essere dettagli
  • nel diario di Nefradel lui dice che fu il giovane Evendur ad andare da lui per chiedergli dei portali del tempo. In che modo questi erano collegati con le sue ricerche sulla "cura definitiva" e/o con il caos?
  • Nefradel nel suo diario diche che lui "comanda gli eserciti del caos"!?! In passato in alcuni frangenti un esercito potrebbe avergli fatto comodo E allora perche` finora sembra aver agito da solo? Forse perche` ha gestito meglio le sue faccende nel mistero piu` fitto?
  • sempre nelle pagine del suo diario dice:
    Ora posso dare il via anche all'altra parte del mio progetto: lo riporteranno in vita, ne richiameranno lo spirito e la carne
    Ma come il nostro gruppo avrebbe/abbiamo fatto a riportare in vita l'angelo caduto? Si richiede aiuto per l'interpretazione di questo pezzo da parte del gruppo intero!!!
  • sempre nel diario quando dice "egli fara` salire in alto me" cosa intende di preciso? Arcimago lo e` gia`... quindi che cosa vuole? Insomma quale cavolo e` l'ultimo fine di Nefradel?
  • chi era il "patrono" che Nefradel ha presentato al giovane Evendur? Forse il signore delle mosche - re degli inganni che si e` fatto passare per qualcos'altro? Cosa ci ha guadagnato il patrono in tutto cio'? Oppure un signore della Gheena che viene citato qui: "è per quello [l'esplosione nella biblioteca a candlekeep dove potenti protezioni normalmente le impediscono? ndSigmud] che ho accumulato tutto il mio credito, presso i Signori della Gheenna"
  • la cicatrice che Nefradel si e` procurato mentre era al "servizio" del giovane Evendur l'abbiamo mai vista? È sulla Coscia?" Se l'e` curata? (ok - questa e` una bazzecola)
  • Quando Nefradel parla del sigillo della tomba sotto le sabbie... ma di chi era la tomba? Dell'angelo caduto? Nel senso che tutto cio` che rimaneva di lui era li` sotto? E quando parla del tesoro li` nascosto si riferisce ad uno o a tutti e tre gli oggetti?

2009-03-24

Been there, done that, got the T-shirt

Ah, Spiel! La città dei 100 negozietti di souvenir...

sessione del 2009-03-16

Giorno 5 - pomeriggio

Andiamo dunque da Lamar o, meglio, dove dovrebbe esserci il suo accampamento mentre invece non c'è niente. «Mica starà qui sempre ad aspettarci» ragioniamo. «Ci sono tante belle cose da vedere qui intorno: l'avanzare del deserto dell'Anauroch, bande di troll che pattugliano i boschi, un villaggio di pescatori xenofobi resi pazzi dal fatto che il lago si allontana sempre più... sarà andato a farsi un giretto». Per cui ci disponiamo ad aspettare.

Siamo lì belli belli e rilassati quando quello che pare un piccolo elfo ma dotato di ali a mo' di libellula appare dal nulla, dicendo di chiamarsi Fezim e di essere un lontano discendente di Watto, quello di Guerre Stellari, sì. Il leone non aspettava altro e si prepara ad ingoiarlo in un sol boccone, ma il suo paladinico padrone preferisce farci quattro chiacchiere. Così accogliamo un'altra patetica forma di vita nel gruppo, nell'attesa che inventino gli schiacciamosche.

Calata la sera, mentre il leone continua ad osservare, goloso, il piccolo Watto (praticamente un Milliwatt), con un sonoro Pop! appare Lamar, il Vicelibro. «Ebbene?» ci fa, con l'educazione che è propria nella grande città di Spiel, scorgendoci. «Scoperto qualcosa in questi due giorni?». Hulga, che sta sempre nel corpo di Stedd, si fa portavoce del gruppo e racconta tutto quanto cavandosela abbastanza bene finché non accenna alla sacca di caos. Lì si incaglia, metaforicamente parlando, e inizia ad affondare.

Lamar non capisce come facciamo a essere così sicuri della natura di quella cosa, come facciamo a conoscerla così bene e perché diavolo ci abbiamo lanciato in mezzo il cadavere del paladino («Se lo meritava, non discuto, ma avrei voluto esserci anch'io»). A levarci dagli impicci pensa Sir Vandemaar, che in due parole propina al Vicelibro una storia plausibile e - incredibile dictu - sostanzialmente vera. Sfortunatamente si sente in dovere di precisare che abbiamo trovato anche degli oggetti piuttosto interessanti sul tavolo a ciambella nella stanza dove è morto Keldorn, e tutta la simpatia che avevamo accumulato per lui svanisce all'istante.

Lamar guarda gli oggetti, dice che gli sembrano di fattura netherese e si offre di analizzarli un po' meglio più avanti; gli interessano di più i cristalli e gli oggetti d'argento trovati nella stanza principale, sul quale raccontiamo tutto ciò che sappiamo, ossia praticamente niente. Il nostro unico e solo contatto con Spiel non pare particolarmente impressionato ma se non altro ha le prove che qualcosa sta davvero succedendo e - con nostro sommo sollievo - sancisce che sarebbe inutile rimandarci là nel tentativo di scoprire altro, soprattutto per via delle ingenti perdite che subiamo ogni volta che facciamo un passo.

Il racconto delle nostre peripezie porta via due o tre ore, durante le quali Vandemaar, oltre a levarci dai pasticci in cui ci cacciamo quando ci si aggroviglia la lingua e a costringerci a rivelare tutto quello che abbiamo trovato, sistema l'accampamento prendendosi la libertà di rassettare anche le nostre cose. Poi monta un asse da stiro pieghevole, raccoglie un po' di braci molto calde e si mette a stirare la biancheria asciutta mentre finiamo di parlare con Lamar, il quale ci dà appuntamento per due ore dopo l'alba svanendo in un portale uscito da una bottiglia che ha appena stappato (dovremo farci indicare in che enoteca si rifornisce); ci troveremo lì, nell'ordinato accampamento che la solerte donna di servizio in armatura ha appena messo in piedi. «E usate le pattine!» ci raccomanda Vandemaar guardandoci con sguardo truce prima di coricarsi.

Giorno 6

Due ore dopo l'alba il portale riappare e con esso Lamar, che ora è abbigliato da mago e porta con sé un librone sul quale si siede, fluttuando a circa 50 centimetri dal terreno. La mattinata inizia esaminando gli oggetti misteriori.

Il mantello è il primo oggetto: le stelle ricamate hanno un legame con Selune; questo mantello protegge il possessore nascondendolo alla vista e rivelando la vera natura degli avversari. Non è stato corrotto dai Phaerrim.

Lo scudo: di fattura molto meridionale, è in grado di parare da solo i colpi con molta più efficacia di uno scudo normale; si tratta di uno scudo animato.

Il diadema ha una forte affinità con l'energia e l'elemento fuoco; è in grado di contenere energia e trasformarla spontaneamente nell'elemento fuoco.

Il bracciale protegge e consente di attaccare a distanza con attacchi di tipo magico; ha capacità di contenimento.

La bacchetta, o sottile verga che sia, lascia Lamar perplesso e non solo per questa sua ambiguità. I suoi poteri variano, pare avere una grossa capacità di cambiamento. Ha una grossa affinità con il caos e con la magia vera e propria.

Tutti gli oggetti sono opera di artisti, qualcuno il cui livello di potere era simile a quello di un arcimago.

Conclusa la parte identificativa, Lamar tiene fede alla propria parte dell'accordo dicendo che sarà il nostro lasciapassare per entrare a Spiel. Inoltre ci darà un aiuto per ritornare nei nostri legittimi corpi, cosa che sarà possibile fare una volta giunti alla cittadella. Là - o,meglio, ai piedi della cittadella - ci dà appuntamento tra due giorni.

Grazie a Hulga, che non crede vero essere già possibile lanciare nuovamente Vento in poppa, camminando per un giorno e mezzo arriveremo alla meta. Durante il viaggio, Vandemaar fa da guida turistica, avendo già raccolto notizie in merito.

«Spiel» ci dice «è dedicata al sapere e alla concentrazione: all'interno è vietato portare armi libere; dovranno essere lasciate o sigillate. È nota anche come La città delle 100 biblioteche e gli abitanti trattano con rispetto non solo i maghi, ma i sapienti in genere. L'Arcimago (o Arcimaga)...» «Eh?» lo interrompiamo. «Arcimago. O Arcimaga. Non lo si vede - o non la si vede - quasi mai». «E poi gli invertiti siamo noi...» (sospiro).

«L'Arcimago (o Arcimaga) Rosso che governa la cittadella non si fa vedere molto, dicevo. Ma il Consiglio dei Bibliotecari tiene comunque un occhio vigile sulla città. Spiel è un luogo dove molti si recano in visita perché è un luogo dedicato al sapere e alla conoscenza, conoscenza anche delle altre Cittadelle: lì sono conservati i testi originali del grande Iolaum».

Chiacchierando del più e del meno, raggiugiamo senza problemi e nel tempo previsto l'accampamento semipermanente che si trova al di sotto della fluttuante cima capovolta di una montagna dove è costruita Spiel.

Entriamo nel villaggio, o accampamento che sia, accorgendoci subito che abbiamo il solito problema: nessuno di noi conosce la lingua locale. Cioè nessuno tranne Milliwatt il pixie, che sarà il nostro traduttore con le guardie che subito incontriamo. Spiega loro che stiamo cercando Lamar e queste rispondono che il Vicelibro ci aspetta all'interno; una di esse ci scorta e raggiungiamo un carro sopra il quale troviamo il nostro ospite.

Lamar ci spiega le regole della città e ci informa del fatto che a prezzo modico (meno di 100 monete d'oro) potremo acquistare, una volta arrivati lassù, il kit del viaggiatore grazie al quale potremo capire e farci capire. Sono davvero dei sapienti, questi di Spiel: non siamo neanche arrivati che già sono riusciti a venderci qualcosa. «Ma solo così potrete mostrare ai vostri amici di aver visitato la bella Spiel! E non dimenticate i graziosissimi negozi di souvenir tipici, come le magliette con la scritta I am an Archmage. If you see me running, try to keep up» ci lusinga Lamar. Non possiamo che concordare

Intanto la nostra guida ci conduce in uno spiazzo dove c'è una piattaforma circolare di legno con un basso corrimano intorno. Saliamo, e la piattaforma si solleva fino a portarci al cancello di Spiel; durante il viaggio possiamo notare come la città non abbia una pianta precisa: una torre al centro con alcuni edifici più grossi emergono evidenti, mentre i criteri urbanistici che hanno guidato la costruizione del resto non devono essere stati molto rigidi. Ci pare persino di intravedere una biblioteca di marzapane. La cosa curiosa è che mancano i comingoli fumiganti che ci aspetteremmo in una città, né si vedono insetti o uccelli.

Lamar suona il campanello. Letteralmente: una campanella dorata posta vicino a un portale.

Arrivano due guardi e un mago che s'inchinano e dicono qualcosa di - ovviamente - incomprensibile. Sfruttando nuovamente Milliwatt come traduttore, ci facciamo sigillare le armi con un lungo filo rosso; ci spiegano che, se il filo si rompe o se usiamo le armi, la guardia sarà avvisata e saranno acidissimi cavoli.

Poi ci espongono la mercanzia: un anello traduttore costa poco, pochissimo, anzi meno. Solo che non abbiamo monete con il conio del luogo. Pazienza, era una vita che Stedd voleva disfarsi delle pietre di onice nera ormai inutili e così compra due anelli: uno per sé (da condividere con Hulga, se il caso) e uno per Klovit (che all'inizio non lo voleva, ma quando ha visto che i soldi bastavano solo per due anelli s'è immantinente fiondato su uno).

Il paladino, un po' in disparte, sta discutendo con le guardie, apparentemente perché vorrebbero mettere la museruola al suo leone. Dopo un po' torna verso di noi con il leone ma senza museruola.

Ma ormai tempo di pensare al nostro problemino, per il quale Lamar conosce un ottimo trasmutatore che per poco prezzo potrebbe sistemarci. Il dottor Nick Riviera locale, insomma.

Sfortunatamente il licantropo potrebbe essere un problema per il dottor Nick («Salve, dottor Nick!») e quindi il nostro cicerone decide di portarci da un altro "specialista".

Attraversiamo parte della città, vedendo parchi, edifici isolati l'uno dall'altro e perfino un paio di fiumi; ci sono molti colonnati che a volte s'intrecciano l'uno con l'altro; nel complesso ci ricorda la zona nobiliare di Calimport.

Arriviamo a un edificio vagamente piramidale, illuminato da grandi finestre aperte, e ci accomodiamo in un enorme salotto. Siamo in una delle biblioteche dove - ci spiega Lamar - c'è il possessore di un oggetto particolare che dovrebbe dirci esattamente che cosa ci è successo. Il leone si accoccola in un angolino, e aspettiamo.

Dopo un po' sopraggiunge un uomo anziano che porta con sé una scatola dai bordi dorati. Parla di qualcosa che definisce "transpossessione" (e la cosa non ci rassicura per niente, anche se avevamo sempre sospettato che ci fosse un trans tra di noi). Ci fa delle domande su che cosa ci è successo e poi prende a esaminarci guardandoci attraverso una sfera appesa a una corta catena d'argento.

Secondo il responso del dottor Hibbert non c'è stato alcuno scambio di anime («A-aaaaaaaaaah....» diciamo, facendo solo finta di capire ma un po' sollevati per quella che sembra una buona notizia) ma solo uno scambio di psiche («Aaaaaaaaaaargh!» diciamo, facendo di nuovo solo finta di capire ma facendoci prendere dal panico - e non soltanto un po' - per quella che non sembra una buona notizia). Può sistemarci.

Per farlo, però, vuole essere pagato. Ed è qui che finalmente Keldorn viene utile: da morto. Se un potente oggetto magico è quello che il dottor Hibbert vuole per rimetterci a posto, un potente oggetto magico è quello che avrà: senza battere ciglio gli offriamo armi e armatura dello spaladino, e lui accetta senza pensarci due volte.

Conclusa la parte burocratica, saliamo di tre piani fino ad arrivare a una stanza vuota a parte una piattaforma centrale, su cui si trova un aggeggio in costruzione, e una armadio dall'aria preziosa. «Userò la verga di Rastinon!» annuncia il nostro dottore, mentre uno degli assistenti lì presenti sbianca all'improvviso e mormora qualcosa del tipo «No, non di nuovo...». «Rastinon, da bravo, sai cosa fare» ci pare di capire che gli risponda.

Ma sicuramente abbiamo capito male perché il dottore si avvicina all'armadio ed estrae quello che ci descrive come «il ritrovamento che ha dato il via ai miei studi, un oggetto in grado di operare l'inversione delle transpossessioni (cioé rimettere le psiche al posto giusto), affumicare i prosciutti e riappaiare i calzini spaiati»: l'aspetto è quello di una verga di cristallo lunga circa un metro e spessa tre dita, dotata di tantissime sfaccettature.

Dice la classica frase da dottore «Ora questo vi farà un po' male» e poi ci ordina di toccare la verga. Mentre avviciniamo le mani lancia un ultimo avvertimento «Ah, e a volte la verga ha effetti deleteri: potrebbe anche farvi impazzire» ma ormai le nostre dite sono già poggiate sul cristallo e tutto diventa buio.

Riapriamo gli occhi. Siamo sul pavimento. Siamo vivi. E siamo nei corpi giusti! Ci offrono del vino per riprenderci e ci chiedono i dettagli dell'esperienza.

Hulga, tornata in sé in tutti i sensi, chiede che cosa sia l'aggeggio sulla piattaforma e che il dottor Hibbert definisce come «il mio più grande obiettivo». La verga ne è solo un elemento: la macchina, una volta completata, gli consentirà d'intervenire a proprio piacere sulla psiche, le anime e i corpi delle creature, molto più in grande di come ha fatto con noi.

Capendo da questi pochi accenni che non vogliamo saperne altro, ce la filiamo alla svelta anche perché il paladino ha assunto un'espressione pensierosa: temiamo che stia decidendo se non sia il caso di mettere i bastoni tra le ruote al più importante progetto intrapreso dall'uomo che ci ha appena sistemati.

Una volta a distanza di sicurezza salutiamo definitivamente Lamar, che ora andrà a organizzare una nuova spedizione.

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Ipse dixit

  • Stedd cerca di scusare Klovit (nel corpo di Hulga) con Lamar: il micione sta delirando dicendo di voler tornare subito nel proprio corpo e di voler essere pagato per aver affrontato il drago
    Stedd: «Devi perdonarlo: la sua psiche è danneggiata, seriamente danneggiata...»
    Klovit: «Eh, per forza: sto usando il cervello della druida!»

2009-03-16

Yin e Yang

Il mio mostro migliore: retto e virtuoso!

Simo, parlando del proprio nuovo personaggio, il paladino Sir Vandemaar

sessione del 2009-02-13

Giorno 4 - tardo pomeriggio

In fila indiana usciamo dalla cella: apre la fila Stedd (che però sta nel corpo di Klovit); segue Klovit (che appare come un'interessantissima gnoma barbuta); chiude Hulga (con le sembianze del sacerdufo). Arriviamo in fondo al corridoio, nei pressi della torcia. Sulla sinistra c'è uno stanzino (che ha tutta l'aria di essere un posto di guardia, sostanzialmente vuoto, in cui l'unica cosa interessante è una brocca di vino) mentre, sulla destra, salgono delle scale.

In cima alle scale c'è una porta di legno borchiata e tenuta chiusa da un grosso chiavistello. All'interno non c'è alcuna maniglia, mentre da fuori proviene della luce accompagnata da rumori e voci lontane che paiono umane. Memori dei problemi incontrati con la porta - aperta - della cella, ci sinceriamo dello stato di questa: è chiusa a chiave.

Klovit bussa. Non succede niente, ma è anche vero che il delicato e femmineo tocco dell'ex-micione non ha prodotto un grande rumore. Più convincente pare la druida, che è ansiosa di provare il per lei nuovo martellone che porta sulla schiena e al quale si sta rapidamente affezionando. Nonostante i colpi inferti con una certa decisione, il risultato è identico alla bussata di Klovit. Al che Hulga, offesa per non essere stata presa sul serio da chiunque ci sia dall'altra parte (mostri assassini, draghi antichissimi, educande...), decide che i tempi sono maturi per tirar giù la porta a martellate. Detto e fatto.

Ora abbiamo sicuramente ottenuto l'attenzione di chiunque si trovi lì intorno: le voci si stanno avvicinando e provengono da destra; probabilmente sta arrivando anche qualcuno con delle torce, a giudicare dal chiarore. Noi ci troviamo all'intersezione a T di un corridoio.

Due persone, due umani rivestiti di cotte di maglia brunite, sono ora visibili. Uno porta effettivamente una torcia, l'altro ha una corta spada. Entrambi, per buona misura, portano anche una spada ciascuno ai fianchi. Si fermano. Ci osservano. Parlano. Capiamo niente.

Improvvisamente ci sovviene che ci troviamo diversi secoli prima di quella che consideravamo casa nostra, e pertanto non conosciamo la lingua. Hulga dà prova dell'addestramento ricevuto alla Flotta Stellare trasmettendo «Salve, pace universale» su tutte le frequenze. In pratica, prova una dopo l'altra tutte le lingue che conosce, cosa che come unico effetto ottiene l'arrivo di altre quattro guardie.

Ora siamo circondati. Felice dell'aumentato pubblico, la druida riprova con il tour delle lingue, iniziando dal draconico. Mentre tutti ci aspettiamo un'ulteriore crescita delle guardie (c'è chi scommette che ne arriveranno 6, altri pensano che saliranno di 8 unità), uno dei presenti ci sorprende, rispondendo nella stessa lingua. Che comunque capisce solo Hulga, e quindi la cosa non ci tranquillizza per niente.

C'è da dire che si impegna. Spiega che siamo finiti lì per un errore di teletrasporto, che in realtà volevamo andare a Xanth (che non è esattamente una ridente località balneare) e che avevamo là un appuntamento. Ciò scatena l'ovvia domanda «Con chi?», alla quale Hulga risponde facendo il nome di Lamar il Vicelibro, che ci aveva inviati in missione. «Che missione?» è il logico quesito successivo: la nostra naturopata di fiducia, con la faccia del chierico, racconta allegramente di quello che stavamo facendo sottoterra a casa daei Phaerrim e dell'avanzata del Caos. Non si sa se le credano. Di sicuro vogliono sapere da dove veniamo: «Da molti posti» cerca di svicolare l'interrogata. Sfortunatamente ciò non è sufficiente così la poverina, ingarbugliandosi sempre di più, cerca di spiegare che siamo nei corpi sbagliati, finendo per dire che «siamo invertiti». Se prima ci guardavano con comprensibile sospetto, ora il disgusto è palese e altrettanto comprensibile. Perfetto: oltre che per pazzi ci prendono anche per degli invertiti, o quantomeno per dei personaggi ambigui. Cosa che, in effetti, non abbiamo cuore di smentire.

In qualche modo riusciamo a spiegarci; decidono, per sicurezza, di farci aspettare in un'altra cella mentre verificano la nostra storia.

Non passa molto tempo che un giovane mago, con un prezioso mantello dal collo rigido, appare e conferma la veridicità di quanto gli abbiamo raccontato; quando ci chiede se sappiamo volare, rispondiamo tutti convinti di sì, intuendo immediatamente di aver fatto una mossa falsa ma comunque... Incredibile, ci credono! Il nostro ospite ci spiega poi con scarso garbo che ci troviamo sotto la guardia della città di Opus e che ora ci accompagnerà alla guardia dei cancelli per cacciarci via il più rapidamente possibile. Qui siamo molto aperti, sì, ma degli invertiti, no, grazie tante, proprio non possiamo, se volete attaccarvi al mio bastone, cioé, quello di legno, mi raccomando, fermi con le mani, ecco, andiamo... E ci teletrasporta al cancello.

Ci troviamo all'aperto, illuminati dalla luce del tramonto, su un piazzale circondato da mura. La città si trova ora alle nostre spalle: possiamo ammirarne il maestosissimo edificio centrale, costruito secondo un'elaborata architettura che non ci è familiare; in più punti vediamo persone che volano da un edificio all'altro. Ci spostiamo verso la parete, seguendo un corridoio che dà verso il cancello, il quale a sua volta dà... sul nulla: a parte una piazzola, oltre il cancello non c'è niente. Il cancello si apre. Il mago, a distanza di sicurezza, ci ordina di andarcene. «Speravamo di poter trovare qui un sistema per rientrare nei nostri corpi» obiettiamo debolmente ma quello, con un'espressione profondamente disgustata, ci fa segno di levarci di torno il più velocemente possibile. Se non altro, non dobbiamo ripagare la porta che abbiamo sfasciato.

Sulla piazzola c'è un carro largo e piatto trainato da ippogrifi. Oltrepassiamo il cancello, che si chiude alle nostre spalle. Il carro s'è levato in volo ed è già lontano, e ora noi dobbiamo lasciare una città volante. Solo che abbiamo un gatto/gnoma che volare non sa, nonostante quello che abbiamo dichiarato poc'anzi. Per fortuna la druida ha un grifone da compagnia proprio per esigenze come questa che ci cava dagli impicci; scende così con l'inseparabile cadavere di Dram, mentre Stedd accompagna giù l'ormai piccolo Klovit.

Mentre scendiamo notiamo delle funi che partono dalla città e arrivano fino a terra, mentre esattamente al di sotto della città c'è una specie di accampamento; notiamo diverse tende, tra cui alcune che paiono preziose. Ci mettiamo in un angolino tranquillo non troppo vicino all'accampamento e lì passiamo la notte.

Giorno 5

Ci teletrasportiamo a Xanth, e questa volta compariamo nella locanda che ci aveva ospitati in origine; anzi, proprio nella stessa stanza che però è occupata da qualcun altro: ci sono casse, vestiti ed equipaggiamento. Frenando tutti i nostri istinti più intimi non tocchiamo nulla e usciamo. Nessuno ci nota, almeno finché non siamo in strada.

È bello quando una situazione familiare si ripete e ti fa sentire a casa. A casa proprio come se i tuoi genitori avessero appena deciso che ne hanno abbastanza di te e di cacciarti fuori e saranno cavoli tuoi.

Come l'altra volta arrivano le guardie, l'incantesimo Linguaggi ci permette di farci capire e levarci di torno con celerità - in questi giorni continuano a cacciarci. Ci dirigiamo verso l'accampamento di Lamar.

Mentre usciamo dalla città quello che sembra un umano ci si avvicina. È completamente coperto di metallo: un'armatura lucidatissima, pulitissima, decorata con leoni rampanti e un simbolo noto, un guanto d'arme rivolto verso di noi. Nonostante puzzi di paladino lontano chilometri, non è questo che ci preoccupa; non subito, per lo meno: è infatti accompagnato da un enorme e apparentemente feroce leone crudele in armatura. E noi coi felini (a partire dalla druida che non li sa riconoscere per arrivare a una patetica gnoma che pensa di essere un gatto) non abbiamo un buon rapporto.


Il nuovo arrivato ci conosce; o, almeno, conosce i nostri nomi e le nostre facce. Ma noi, che ci troviamo nei corpi sbagliati, tentiamo subito di confonderlo col delirio nel vano tentativo di spiegare la situazione attuale. Facendo l'ormai abituale figura degli invertiti - cosa che porta il leone a fare un paio di passi indietro - gli chiariamo l'incidente di teletrasporto (ormai qui i riferimenti a Star Trek si sprecano) e sembra crederci. Anche lui! Evidentemente il Master deve averci dato dei punti bonus in Raggirare.


Si presenta: è Sir Vandemaar dell'Ordine del Leone Dorato. Che, per l'assonanza quantomeno sospetta con il più noto Valdemar ci mette per un attimo i brividabadibidi. Giustificati, visto che ci fa sapere di essere stato mandato dalla Chiesa di Nobanion (già, quelli della realtà alternativa che non ci piace neanche un po'), preoccupata perché seguivamo un chierico di Shar... chissà poi perché.

Sir Vandemaar si è accampato poco fuori città; dopo aver discusso un po' sul perché mai ci portiamo ancora dietro il cadavere di quell'orribile creatura - al che restiamo un attimo interdetti: eravamo sicuri di aver distrutto il corpo di Keldorn... poi ci accorgiamo che stava parlando di Dram - ci dividiamo. Vandemaar vorrebbe che lo distruggessimo per sempre. Hulga e Stedd non vogliono: il secondo perché sennò non c'è più nessuno che gli dica che cosa fare, la prima perché c'era tanto affezionata. Klovit, dal canto suo, ora che Dram non è più vivo per fargli paura può finalmente palesare la propria fedeltà verso Selune e pretendere la distruzione del verde cadavere.

Raggiungiamo un compromesso: Stedd e Hulga parleranno con il cadavere di Dram per accertarsi delle sue intenzioni. Se ci lascerà liberi di lasciarlo morto, lo faremo; ma se vorrà essere resuscitato, ci sarà da ridere. Gli altri due, intanto, attenderanno all'accampamento del paladino.

Prima della separazione Vandemaar ci avvisa che fin da quando è partito è stato seguito da un fastidioso pixie, generalmente invisibile, che gli svolazza sempre intorno. Anche il suo leone è piuttosto seccato e, se solo potesse volare, grazie al proprio fiuto l'avrebbe già individuato e mangiato. Mentre sta per andarsene insieme a Hulga e al defunto vegetale, Stedd accenna distrattamente al fatto che prepara ogni mattina un Volare, aprendo così la strada a una lunga e proficua collaborazione.

Stedd e Hulga si fermano fuori città, lontano da occhi indiscreti. Il chierico lancia Parlare con i morti.

Domanda: «Vuoi essere risorto?»
Risposta: «Al bene la scelta di far tornare il male»
Commento: «Ah, cominciamo bene...»

Domanda: «Vuoi essere cremato?»
Risposta: «A ogni natura la giusta dimora»
Commento: «Questa domanda l'ho suggerita io! Questa domanda l'ho suggerita io!» «Sta' buona, Ullallà...»

Domanda: «Cosa facciamo a Spiel?»
Risposta: «Evitate che il gigante si tocchi i piedi»
Commento: «Ah, già: l'ernia»

Domanda: «Come fermiamo Tredici?»
Risposta: «L'arma è al di là delle nostre capacità»
Commento: «E fin qua...»

Insomma: ci prende in giro anche e più di prima persino dall'aldilà.

Mestamente l'incantesimo ha termine. La parvenza di vita che animava il corpo di Dram si spegne, per sempre. Forse è meglio lasciarlo in pace allestendo una pira funeraria. Hulga è triste: dopotutto aveva condiviso con il dendrelfo tante avventure. I due divini decidono di dire qualche parola di commiato.

Hulga: «Ti auguro, o compagno, di aver raggiunto la pace eterna. Suppongo che ora tu sia tornato alla tua divinità, ma la mia fede nella reincarnazione - e qua tutti a Xanth, come colti da un presagio, si toccano - mi fa sperare di poterti incontrare nuovamente in un'altra forma e con altre credenze».

Stedd: «Ottimo. Fuoco?»

Per degnamente commemorare l'unico che sapesse quale fosse l'obiettivo della missione, Hulga e Stedd aprono una bottiglia di quello buono e passano la serata intorno al falò, cantando canzoni tristi e ricordando i bei tempi andati. Concludono con Io vagabondo e poi, ubriachi persi, si recano all'accampamento del paladino.

Ciucca marcia, Hulga aggiorna Vandemaar partendo dalle streghe. Stedd ronfa della grossa mentre Klovit, che ormai sta perdendo la ragione per essere tuttora nel corpo della gnoma, si aggira circospetto intorno all'enorme leone. In alto, nella notte, le stelle brillano e la vocina stridula di un pixie risuona stridula.

È ormai tempo di fare rapporto a Lamar e poi entrare a Spiel.

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Ipse dixit

  • La druida non regge alla pressione dell'interrogatorio delle guardie di Opus.
    Hulga: «... un altro degli effetti del Caos - non so se si è capito - è che siamo invertiti...»
    Tutti fanno un paio di passi indietro.
  • La druida - sempre lei, la nostra impavida portavoce - sta spiegando a Sir Vandemaar la nostra situazione attuale.
    Hulga: «E Dram, purtroppo, è morto»
    Sir Vandemaar (accigliandosi): «Purtroppo?».
    Questo sì che è cominciare con il piede giusto...

2009-03-15

L'orrida vergogna

Un epitaffio eccellente per la tomba inesistente di un paladino imbarazzante. Che poi era un Cavaliere Paradisiaco.

(sessione del 2009-02-16)

Giorno 4 - pomeriggio

A parte la tremenda tragedia che ci ha appena colpiti (con lo spaladino morto manca il personaggio di colore - e non nel senso della pelle), il vero problema è che la parete di rampicanti attraverso cui siamo passati per giungere qui ora è d'oro. La situazione è seria: come facciamo a tornare di là? Moriremo qui? Bisogna assolutamente trovare una soluzione: ecco perché ci distraiamo concentrandoci nuovamente sull'arredamento.

Guardandoci bene intorno, ci viene in mente che dei tavolini di pietra simili a quelli che ci sono qui si trovano anche nella stanza dell'acqua. Là, però, c'erano sopra degli oggetti, anneriti e contorti. Qua, invece, ci sono oggetti d'argento dalle forme strane, due o tre per ciascun tavolino; alcuni paiono tremolare leggermente; da qualcuno proviene un lieve tintinnìo mentre da un paio s'alza un filo di fumo. Quando vicino ai tavolini ci sono delle formazioni cristalline, queste contengono un cristallo più grande degli altri che mostra una faccia più estesa delle altre.

Nella stanza c'è una ventina di formazioni cristalline di quest'ultimo tipo, mentre gli strumenti sono tutti l'uno diverso dall'altro.

Hulga si avvicina a uno degli oggetti per studiarlo meglio; Stedd, invece, dà un'altra occhiata alla sfera dentro cui ha tristemente (pffff... ahahahahahahaha! *Sapevo* che non sarei riuscito a scriverlo restando serio) perso la vita Keldorn. Tutto ciò gli ricorda l'incantesimo Mantello del caos.

La druida afferra uno degli oggetti, nella fattispecie uno non fumigante né tintillante: anche lei, ogni tanto, esibisce un minimo di prudenza. Minimo minimo, in effetti, visto che subito dopo non essere stata incenerita o maledetta o alcunché di nefasto allunga immediatamente le mani verso un oggetto fumigante. Non le succede ancora nulla e quindi, ormai disperata («Ma se Keldorn è morto per un orgasmo di punti ferita, io mi meriterò almeno un pizzicorino?»), si getta su un oggetto tintinnante, il quale immediatamente inizia a vibrare intensamente.

Il cristallo azzurro lì accanto ha un lampo e, per un attimo, un'immagine appare: sembra una specie di città, ma resta visibile per troppo poco tempo. Lo stesso tentativo, fatto su un altro oggetto tintinnante nei pressi di un cristallo giallo, non sortisce tuttavia alcun effetto.

In totale gli oggetti presenti nella stanza sono 82. Stedd, non riuscendo a estrarre altre informazioni dall'osservazione della sfera, afferra un oggetto tintinnante: magari con lui - coperto di metallo com'è - la ricezione sarà migliore. In effetti qualcosa appare, ma il cristallovisore dev'essere sintonizzato su un canale che trasmette film dell'orrore: vediamo fugacemente l'immagine di una strana creatura nera simile a una lumaca, ma dotata di arti e tre teste.

A questo punto inizia la frenesia: a turno, tutti e tre (Klovit, Hulga e Stedd) ci mettiamo a paciugare gli oggetti, che sono sempre 82. Ora che non c'è più Dram (o la Veggente elementale) a metterci fretta, possiamo esibirci in ciò che ci riesce meglio: temporeggiare. Possiamo così godere della visione di varie città, paesaggi desolati, caverne con creature, altri lumacosi e in un caso di un enorme, gigantesco pezzo di roccia fluttuante, con sopra una città

Finiti gli oggetti, intuiamo che non c'è più nulla da intuire, se mai c'era stato qualcosa. Rimarcando che ci sono voluti non meno di 82 oggetti per arrivare a una conclusione peraltro ovvia, capiamo brillantemente che forse i Phaerrim usavano questo posto per tenere sotto controllo i Netheresi. Ma Hulga non è soddisfatta.

Da piccolina, infatti, prima che tutta la sua gente venisse sterminata, era solita guardare la propria particolare versione della Melevisione su un vecchio apparecchio che, per funzionare adeguatamente, aveva bisogno di essere preso a sberle con allarmante regolarità. Ecco perché di punto in bianco afferra uno dei delicatissimi oggetti d'argento e si prepara a pestarlo con violenza su uno dei cristalli. Solo l'intervento in forze dei suoi compagni evita la distruzione di tutto ciò che possiamo portare al Vicelibro come prova della nostra missione (cadaveri a parte).

L'esplorazione ha portato via circa un'ora. Noi, invece, portiamo via un po' di cristalli, circa una trentina, e tutti gli oggetti. Ci giriamo finalmente verso la parete d'oro... e notiamo che è stata sostituita da una doppia fila di colonne, oltre la quale ci fissa, perplesso e ingolosito, il drago d'ametista. Ora il problema è come oltrepassarlo, praticamente un déjà vu.

Il vero guaio è dovuto ai limiti imposti dagli incantesimi di teletrasporto: abbiamo a disposizione sia Porta dimensionale che Teletrasporto, ma siamo uno in più di quanto concesso dal manuale, contando anche i cadaveri. La proposta di abbandonare lo spaladino - che conosciamo da poche ore e non ci ha mai convinti (di essere davvero un Cavaliere Paradisiaco, intendo) - non soddisfa la naturopata. Quindi, urge un piano alternativo.

Yo-yo per draghi

Siete bloccati da un drago piazzatosi esattamente nella stanza adiacente alla vostra, obbligata via di fuga per raggiungere l'uscita? Potreste teletrasportarvi oltre l'ostacolo, ma nel vostro gruppo c'è un PG di troppo che eccede il numero delle persone trasportabili dall'incantesimo? Facendo leva sulla natura burlona e giocherellona propria dei grandi rettili potrete passare senza pericolo!

Materiale: un paladino (vivo o morto, a piacere - ma di solito morti sono più collaborativi), della corda, arco e frecce, un chierico in grado di lanciare "Porta dimensionale".

Legare il paladino a un capo della corda; l'altra estremità deve invece essere fissata a una freccia. A questo punto, stando sulla soglia della stanza in cui vi trovate, sarà sufficiente scagliare la freccia verso la parete opposta rispetto a dove siete, quella in cui si apre la porta che vi condurrà alla salvezza. Con un po' di fortuna si riuscirà a conficcare il dardo nel muro; a questo punto ci si potrà teletrasportare in tutta sicurezza verso la libertà. Il drago, infatti, avrà provveduto a concentrarsi sulla corda tesa attraverso la propria stanza e a tirare a sé il paladino, con il quale avrà realizzato un rudimentale ma efficace yo-yo, perfetto per intrattenersi durante i lunghi turni di guardia. Mentre il rettilone è distratto, sgattaiolare.

Sfortunatamene, il piano proposto dal manuale non riscuote l'approvazione di Hulga, che invece preferisce tornare nella stanza del cristallo che ha ucciso Keldorn per curarsi ed elaborare una strategia migliore. Prima di accontentarla, Stedd si premura di spogliare il paladino.

Qualcuno volò oltre il nido del drago

Non tutti i draghi amano lo Yo-yo. Per questo, avere una druida in gruppo può essere utile per risolvere l'annoso problema di cui sopra.

Materiale: una druida, un arco.

Convincere la druida (andrebbe bene anche un druido, ma si sa che le druide sono più adatte) a trasformarsi in un piccolo uccello - passerotto, canarino, quaglietta... quello che preferite. Incoccare il volatile e scagliarlo oltre il drago, mirando alla porta che si trova oltre il guardiano. Con un po' di fortuna si riuscirà a conficcare la druida in forma animale, di becco, nel legno della porta stessa: in questo modo avrà oltrepassato l'ostacolo, ammesso che poi riesca a schiodarsi. In alternativa, il drago potrebbe ingoiare al volo la poverina. In ogni caso, ora rientrerete nei parametri richiesti dall'incantesimo di teletrasporto.

«Stedd! Metti via quella roba!». Anche la seconda proposta non viene accolta. Ormai è passata un'ora e a causa dell'opposizione della druida - che è sempre quella che non vuole abbandonare il defunto Kel - siamo bloccati lì, dietro la doppia file di colonne. O no: ora è una parete di ghiaccio.

Lieti di non vedere più il muso del nostro nemico - che si sbellicava dalle risate a sentire le strategie proposte per evitarlo - arriviamo alla stretta finale. Hulga non vuole abbandonare lì il cadavere perché teme che i Phaerrim ne facciano scempio. Ottimo: e se lo facessimo sparire?

Detto e fatto: Klovit, ballando e cantando perché finalmente si fa qualcosa, lo scaraventa verso la disgustosa sacca di caos che pulsa al centro della stanza. Quella estroflette uno pseudopodo e ingloba il nudo cavaliere paradisiaco volante. Fine del problema.

Possiamo andarcene! Stedd può ora lanciare Teletrasporto mirando alla locanda di Xanth, quella che pareva una prigione. Quella che pareva molto una prigione. Ed è così che... ehm... ci rimaterializziamo in quella che ha tutta l'aria di essere una prigione. Ma non è questo il problema principale.

Il primo a riaprire gli occhi è Klovit. La stanza è buia, ma si riesce a scorgere qualcosa. Siamo tutti e tre (più il cadavere di Dram) vicini, stesi sul duro pavimento di pietra di quella che pare una cella. Klovit si agita debolmente e si guarda intorno: ok, quello è Dram, o ciò che ne resta. Quello è Stedd, perfetto. Quello lì, invece, è Klo... KLOVIT? Ma IO sono Klovit!

Il micione mannaro si alza in piedi, solo che... non è un micione. È invece una graziosa gnoma barbuta, che ora urla di terrore svegliando gli altri.

«Che ci fai nel mio corpo?» «Che ci fai tu nel mio, piuttosto?» «Ma che schifo... Hulga, come fai andare in giro e a non sbilanciarti per via del davanzale? Boh, sarà il baricentro basso...».

Insomma, per farla breve gli effetti del caos hanno un zinzino influito sull'incantesimo: ora Stedd si trova nel corpo di Klovit, Hulga nel corpo di Stedd e Klovit in quello di Hulga. Proprio l'ex micione è quello messo peggio: senza il suo corpo, basterebbe che qualcuno gli soffi addosso un po' troppo forte per mandarlo nel regno dei più.

La prima cosa da fare è uscire da quella che ormai è chiaramente la cella di una prigione sotterranea. Stedd controlla che i suoi incantesimi funzionino ancora (con il Metodo Standard: prova a lanciare Luce sulla punta del naso di Hulga - che però è nel corpo del chierico - e la cosa funziona perfettamente).

Hulga dà un'occhiata intorno. Non possiamo uscire. Stedd, allora, si lancia Forma gassosa e filtra oltre la porta, dove trova un corridoio, cieco sulla sinistra, in fondo al quale, verso destra, c'è una torcia. Poi si gira, e vede che la porta non era chiusa a chiave.

Con la sua migliore faccia da poker il sacerdufo rifiltra all'interno della cella, si materializza e spinge la porta, che cede agevolmente (mai stata chiusa). «Ecco fatto. Quanta paura per niente, eh?» conclude serafico il chierico.

Siamo nel corridoio. La torcia emana una strana luce rossa, forse effetto dell'incantesimo Fiamma perenne. A destra e a sinistra si aprono delle porte. Dove siamo?

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Ipse dixit

  • Abbiamo appena notato che i cristalloni vicini ai tavolini con gli oggetti hanno una faccia più estesa delle altre.
    Hulga: «Ah, ho capito!»
    Stedd: «Quindi... qual è l'idea brillante?»
    Hulga (improvvisamente sconsolata): «Eh... non ce l'ho...»
    Hulga scoppia in lacrime. Sipario.
  • DM (commentando la musica riprodotta dal Winamp in random): «Ma com'è soft la selezione musicale di questa sera!»
    Mdmuffa: «Eh, è in sintonia con quello che stiamo facendo noi...»
    DM e Mdmuffa, all'unisono: «Niente!».
  • Abbiamo appena spogliato il cadavere di Keldorn e siamo seriamente tentati di mollarlo lì per poi teletrasportarci via. Tutti d'accordo, meno la druida.
    Hulga (con tono di estremo rimprovero): «Ah, lo lasciamo qui inerme e nudo! Come se ci fosse un cartello: fate scempiaggini
    (perché, non ne facciamo abbastanza noi?)
  • Ci siamo appena risvegliati nella cella. Siamo nei corpi sbagliati. Nessuno, per fortuna, si è trovato intrappolato nel cadavere di Dram. La druida si produce in una mirabile sintesi della situazione.
    Hulga: «Il corpo del cadavere è rimasto quello... non riesco a dire una frase intellegibile neanche volendo!»
  • Apparentemente siamo chiusi nella cella. Altra mirabile sintesi prodotta dalla druida.
    Hulga (come se stesse commentando il tempo atmosferico): «Non vorrei attirare l'attenzione: siamo in una porta!»
  • Ora i punteggi delle nostre caratteristiche fisiche dipendono dal corpo che ci ospita. Klovit comunica i propri a Stedd. Stedd comunica i propri a Hulga. Hulga resta silente. Klovit, sempre bloccato nel corpo della gnoma, la fissa con fare interrogativo.
    Alla fine Hulga (nel corpo di Stedd) sbotta, con una risata isterica: «Oh, no! Tu non li vuoi sapere i punteggi della gnoma! Hihihihihihi!»
    Ora Klovit è davvero preoccupato.