2009-03-24

Been there, done that, got the T-shirt

Ah, Spiel! La città dei 100 negozietti di souvenir...

sessione del 2009-03-16

Giorno 5 - pomeriggio

Andiamo dunque da Lamar o, meglio, dove dovrebbe esserci il suo accampamento mentre invece non c'è niente. «Mica starà qui sempre ad aspettarci» ragioniamo. «Ci sono tante belle cose da vedere qui intorno: l'avanzare del deserto dell'Anauroch, bande di troll che pattugliano i boschi, un villaggio di pescatori xenofobi resi pazzi dal fatto che il lago si allontana sempre più... sarà andato a farsi un giretto». Per cui ci disponiamo ad aspettare.

Siamo lì belli belli e rilassati quando quello che pare un piccolo elfo ma dotato di ali a mo' di libellula appare dal nulla, dicendo di chiamarsi Fezim e di essere un lontano discendente di Watto, quello di Guerre Stellari, sì. Il leone non aspettava altro e si prepara ad ingoiarlo in un sol boccone, ma il suo paladinico padrone preferisce farci quattro chiacchiere. Così accogliamo un'altra patetica forma di vita nel gruppo, nell'attesa che inventino gli schiacciamosche.

Calata la sera, mentre il leone continua ad osservare, goloso, il piccolo Watto (praticamente un Milliwatt), con un sonoro Pop! appare Lamar, il Vicelibro. «Ebbene?» ci fa, con l'educazione che è propria nella grande città di Spiel, scorgendoci. «Scoperto qualcosa in questi due giorni?». Hulga, che sta sempre nel corpo di Stedd, si fa portavoce del gruppo e racconta tutto quanto cavandosela abbastanza bene finché non accenna alla sacca di caos. Lì si incaglia, metaforicamente parlando, e inizia ad affondare.

Lamar non capisce come facciamo a essere così sicuri della natura di quella cosa, come facciamo a conoscerla così bene e perché diavolo ci abbiamo lanciato in mezzo il cadavere del paladino («Se lo meritava, non discuto, ma avrei voluto esserci anch'io»). A levarci dagli impicci pensa Sir Vandemaar, che in due parole propina al Vicelibro una storia plausibile e - incredibile dictu - sostanzialmente vera. Sfortunatamente si sente in dovere di precisare che abbiamo trovato anche degli oggetti piuttosto interessanti sul tavolo a ciambella nella stanza dove è morto Keldorn, e tutta la simpatia che avevamo accumulato per lui svanisce all'istante.

Lamar guarda gli oggetti, dice che gli sembrano di fattura netherese e si offre di analizzarli un po' meglio più avanti; gli interessano di più i cristalli e gli oggetti d'argento trovati nella stanza principale, sul quale raccontiamo tutto ciò che sappiamo, ossia praticamente niente. Il nostro unico e solo contatto con Spiel non pare particolarmente impressionato ma se non altro ha le prove che qualcosa sta davvero succedendo e - con nostro sommo sollievo - sancisce che sarebbe inutile rimandarci là nel tentativo di scoprire altro, soprattutto per via delle ingenti perdite che subiamo ogni volta che facciamo un passo.

Il racconto delle nostre peripezie porta via due o tre ore, durante le quali Vandemaar, oltre a levarci dai pasticci in cui ci cacciamo quando ci si aggroviglia la lingua e a costringerci a rivelare tutto quello che abbiamo trovato, sistema l'accampamento prendendosi la libertà di rassettare anche le nostre cose. Poi monta un asse da stiro pieghevole, raccoglie un po' di braci molto calde e si mette a stirare la biancheria asciutta mentre finiamo di parlare con Lamar, il quale ci dà appuntamento per due ore dopo l'alba svanendo in un portale uscito da una bottiglia che ha appena stappato (dovremo farci indicare in che enoteca si rifornisce); ci troveremo lì, nell'ordinato accampamento che la solerte donna di servizio in armatura ha appena messo in piedi. «E usate le pattine!» ci raccomanda Vandemaar guardandoci con sguardo truce prima di coricarsi.

Giorno 6

Due ore dopo l'alba il portale riappare e con esso Lamar, che ora è abbigliato da mago e porta con sé un librone sul quale si siede, fluttuando a circa 50 centimetri dal terreno. La mattinata inizia esaminando gli oggetti misteriori.

Il mantello è il primo oggetto: le stelle ricamate hanno un legame con Selune; questo mantello protegge il possessore nascondendolo alla vista e rivelando la vera natura degli avversari. Non è stato corrotto dai Phaerrim.

Lo scudo: di fattura molto meridionale, è in grado di parare da solo i colpi con molta più efficacia di uno scudo normale; si tratta di uno scudo animato.

Il diadema ha una forte affinità con l'energia e l'elemento fuoco; è in grado di contenere energia e trasformarla spontaneamente nell'elemento fuoco.

Il bracciale protegge e consente di attaccare a distanza con attacchi di tipo magico; ha capacità di contenimento.

La bacchetta, o sottile verga che sia, lascia Lamar perplesso e non solo per questa sua ambiguità. I suoi poteri variano, pare avere una grossa capacità di cambiamento. Ha una grossa affinità con il caos e con la magia vera e propria.

Tutti gli oggetti sono opera di artisti, qualcuno il cui livello di potere era simile a quello di un arcimago.

Conclusa la parte identificativa, Lamar tiene fede alla propria parte dell'accordo dicendo che sarà il nostro lasciapassare per entrare a Spiel. Inoltre ci darà un aiuto per ritornare nei nostri legittimi corpi, cosa che sarà possibile fare una volta giunti alla cittadella. Là - o,meglio, ai piedi della cittadella - ci dà appuntamento tra due giorni.

Grazie a Hulga, che non crede vero essere già possibile lanciare nuovamente Vento in poppa, camminando per un giorno e mezzo arriveremo alla meta. Durante il viaggio, Vandemaar fa da guida turistica, avendo già raccolto notizie in merito.

«Spiel» ci dice «è dedicata al sapere e alla concentrazione: all'interno è vietato portare armi libere; dovranno essere lasciate o sigillate. È nota anche come La città delle 100 biblioteche e gli abitanti trattano con rispetto non solo i maghi, ma i sapienti in genere. L'Arcimago (o Arcimaga)...» «Eh?» lo interrompiamo. «Arcimago. O Arcimaga. Non lo si vede - o non la si vede - quasi mai». «E poi gli invertiti siamo noi...» (sospiro).

«L'Arcimago (o Arcimaga) Rosso che governa la cittadella non si fa vedere molto, dicevo. Ma il Consiglio dei Bibliotecari tiene comunque un occhio vigile sulla città. Spiel è un luogo dove molti si recano in visita perché è un luogo dedicato al sapere e alla conoscenza, conoscenza anche delle altre Cittadelle: lì sono conservati i testi originali del grande Iolaum».

Chiacchierando del più e del meno, raggiugiamo senza problemi e nel tempo previsto l'accampamento semipermanente che si trova al di sotto della fluttuante cima capovolta di una montagna dove è costruita Spiel.

Entriamo nel villaggio, o accampamento che sia, accorgendoci subito che abbiamo il solito problema: nessuno di noi conosce la lingua locale. Cioè nessuno tranne Milliwatt il pixie, che sarà il nostro traduttore con le guardie che subito incontriamo. Spiega loro che stiamo cercando Lamar e queste rispondono che il Vicelibro ci aspetta all'interno; una di esse ci scorta e raggiungiamo un carro sopra il quale troviamo il nostro ospite.

Lamar ci spiega le regole della città e ci informa del fatto che a prezzo modico (meno di 100 monete d'oro) potremo acquistare, una volta arrivati lassù, il kit del viaggiatore grazie al quale potremo capire e farci capire. Sono davvero dei sapienti, questi di Spiel: non siamo neanche arrivati che già sono riusciti a venderci qualcosa. «Ma solo così potrete mostrare ai vostri amici di aver visitato la bella Spiel! E non dimenticate i graziosissimi negozi di souvenir tipici, come le magliette con la scritta I am an Archmage. If you see me running, try to keep up» ci lusinga Lamar. Non possiamo che concordare

Intanto la nostra guida ci conduce in uno spiazzo dove c'è una piattaforma circolare di legno con un basso corrimano intorno. Saliamo, e la piattaforma si solleva fino a portarci al cancello di Spiel; durante il viaggio possiamo notare come la città non abbia una pianta precisa: una torre al centro con alcuni edifici più grossi emergono evidenti, mentre i criteri urbanistici che hanno guidato la costruizione del resto non devono essere stati molto rigidi. Ci pare persino di intravedere una biblioteca di marzapane. La cosa curiosa è che mancano i comingoli fumiganti che ci aspetteremmo in una città, né si vedono insetti o uccelli.

Lamar suona il campanello. Letteralmente: una campanella dorata posta vicino a un portale.

Arrivano due guardi e un mago che s'inchinano e dicono qualcosa di - ovviamente - incomprensibile. Sfruttando nuovamente Milliwatt come traduttore, ci facciamo sigillare le armi con un lungo filo rosso; ci spiegano che, se il filo si rompe o se usiamo le armi, la guardia sarà avvisata e saranno acidissimi cavoli.

Poi ci espongono la mercanzia: un anello traduttore costa poco, pochissimo, anzi meno. Solo che non abbiamo monete con il conio del luogo. Pazienza, era una vita che Stedd voleva disfarsi delle pietre di onice nera ormai inutili e così compra due anelli: uno per sé (da condividere con Hulga, se il caso) e uno per Klovit (che all'inizio non lo voleva, ma quando ha visto che i soldi bastavano solo per due anelli s'è immantinente fiondato su uno).

Il paladino, un po' in disparte, sta discutendo con le guardie, apparentemente perché vorrebbero mettere la museruola al suo leone. Dopo un po' torna verso di noi con il leone ma senza museruola.

Ma ormai tempo di pensare al nostro problemino, per il quale Lamar conosce un ottimo trasmutatore che per poco prezzo potrebbe sistemarci. Il dottor Nick Riviera locale, insomma.

Sfortunatamente il licantropo potrebbe essere un problema per il dottor Nick («Salve, dottor Nick!») e quindi il nostro cicerone decide di portarci da un altro "specialista".

Attraversiamo parte della città, vedendo parchi, edifici isolati l'uno dall'altro e perfino un paio di fiumi; ci sono molti colonnati che a volte s'intrecciano l'uno con l'altro; nel complesso ci ricorda la zona nobiliare di Calimport.

Arriviamo a un edificio vagamente piramidale, illuminato da grandi finestre aperte, e ci accomodiamo in un enorme salotto. Siamo in una delle biblioteche dove - ci spiega Lamar - c'è il possessore di un oggetto particolare che dovrebbe dirci esattamente che cosa ci è successo. Il leone si accoccola in un angolino, e aspettiamo.

Dopo un po' sopraggiunge un uomo anziano che porta con sé una scatola dai bordi dorati. Parla di qualcosa che definisce "transpossessione" (e la cosa non ci rassicura per niente, anche se avevamo sempre sospettato che ci fosse un trans tra di noi). Ci fa delle domande su che cosa ci è successo e poi prende a esaminarci guardandoci attraverso una sfera appesa a una corta catena d'argento.

Secondo il responso del dottor Hibbert non c'è stato alcuno scambio di anime («A-aaaaaaaaaah....» diciamo, facendo solo finta di capire ma un po' sollevati per quella che sembra una buona notizia) ma solo uno scambio di psiche («Aaaaaaaaaaargh!» diciamo, facendo di nuovo solo finta di capire ma facendoci prendere dal panico - e non soltanto un po' - per quella che non sembra una buona notizia). Può sistemarci.

Per farlo, però, vuole essere pagato. Ed è qui che finalmente Keldorn viene utile: da morto. Se un potente oggetto magico è quello che il dottor Hibbert vuole per rimetterci a posto, un potente oggetto magico è quello che avrà: senza battere ciglio gli offriamo armi e armatura dello spaladino, e lui accetta senza pensarci due volte.

Conclusa la parte burocratica, saliamo di tre piani fino ad arrivare a una stanza vuota a parte una piattaforma centrale, su cui si trova un aggeggio in costruzione, e una armadio dall'aria preziosa. «Userò la verga di Rastinon!» annuncia il nostro dottore, mentre uno degli assistenti lì presenti sbianca all'improvviso e mormora qualcosa del tipo «No, non di nuovo...». «Rastinon, da bravo, sai cosa fare» ci pare di capire che gli risponda.

Ma sicuramente abbiamo capito male perché il dottore si avvicina all'armadio ed estrae quello che ci descrive come «il ritrovamento che ha dato il via ai miei studi, un oggetto in grado di operare l'inversione delle transpossessioni (cioé rimettere le psiche al posto giusto), affumicare i prosciutti e riappaiare i calzini spaiati»: l'aspetto è quello di una verga di cristallo lunga circa un metro e spessa tre dita, dotata di tantissime sfaccettature.

Dice la classica frase da dottore «Ora questo vi farà un po' male» e poi ci ordina di toccare la verga. Mentre avviciniamo le mani lancia un ultimo avvertimento «Ah, e a volte la verga ha effetti deleteri: potrebbe anche farvi impazzire» ma ormai le nostre dite sono già poggiate sul cristallo e tutto diventa buio.

Riapriamo gli occhi. Siamo sul pavimento. Siamo vivi. E siamo nei corpi giusti! Ci offrono del vino per riprenderci e ci chiedono i dettagli dell'esperienza.

Hulga, tornata in sé in tutti i sensi, chiede che cosa sia l'aggeggio sulla piattaforma e che il dottor Hibbert definisce come «il mio più grande obiettivo». La verga ne è solo un elemento: la macchina, una volta completata, gli consentirà d'intervenire a proprio piacere sulla psiche, le anime e i corpi delle creature, molto più in grande di come ha fatto con noi.

Capendo da questi pochi accenni che non vogliamo saperne altro, ce la filiamo alla svelta anche perché il paladino ha assunto un'espressione pensierosa: temiamo che stia decidendo se non sia il caso di mettere i bastoni tra le ruote al più importante progetto intrapreso dall'uomo che ci ha appena sistemati.

Una volta a distanza di sicurezza salutiamo definitivamente Lamar, che ora andrà a organizzare una nuova spedizione.

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Ipse dixit

  • Stedd cerca di scusare Klovit (nel corpo di Hulga) con Lamar: il micione sta delirando dicendo di voler tornare subito nel proprio corpo e di voler essere pagato per aver affrontato il drago
    Stedd: «Devi perdonarlo: la sua psiche è danneggiata, seriamente danneggiata...»
    Klovit: «Eh, per forza: sto usando il cervello della druida!»

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