2012-07-24

Come cedere l'obiettivo di un'avventura senza ricevere nulla in cambio

Sessione del 20 giugno 2012

1 Elesias 1383 + X + 1

La missione di guardia al frutteto si rivela un incarico di tutto riposo: per tre giorni non facciamo assolutamente nulla se non mangiare, dormire e assistere al concerto di un gruppo locale, i Macigni Rotolanti (non per modo di dire: si tratta davvero di macigni che si muovono in autonomia, fungono da guardiani agli ordini di Mottlegrasp e che, siccome da queste parti succede poco, si tengono occupati dandosi alla musica rock in senso letterale).

Nonostante l'ozio ci travolga riusciamo persino a scoprire che il focus necessario per tornare al Primo Piano Materiale è un diapason d'acciaio, e ci appuntiamo mentalmente di chiederne uno al nostro ospite quando questi dovesse tornare, cosa che ci auguriamo capiti il più tardi possibile.

Sfortunatamente, il quarto giorno della nostra permanenza Mottlegrasp decide di ricomparire verso la metà della giornata: guida un mulo carico di casse che poi vengono depositate su dischi luminosi e fluttuano in casa. Il mago ci ringrazia dell'aiuto e s'informa circa i nostri piani, domanda di fronte alla quale restiamo un attimo titubanti: all'improvviso rivelare che pensavamo di restarcene in panciolle a sue spese per il resto dei nostri giorni non pare più un'idea tanto brillante, e cerchiamo di trarci d'impaccio con una frase vacua che ammantiamo di quella che speriamo essere misteriosa importanza. «Forse torneremo da dove siamo venuti, forse no...» buttiamo lì, nella speranza che non voglia farci altre domande. Per sviare il discorso, Balthazar chiede - e ottiene - il diapason tanto agognato.

A questo punto Valadriel si riscuote e s'apparta per parlare a tu per tu con Mottlegrasp a proposito del disco; il mago non sa di che cosa si tatti, ma si offre di studiarlo per un po': al momento individua soltanto una tenue aura magica di divinazione. L'indomani saprà dirci di più.

Guadagnato così il diritto di passare qui un'altra notte - per cause di forza maggiore, non certo per la nostra cupida volontà di accaparrarci ancora un po' le comodità messeci a disposizione - ci rechiamo nelle nostre stanze.

Il ritorno del mago coincide però con la fine della tranquillità. Il riposo è funestato da un sogno che facciamo tutti: ci appare la stanza dei sarcofagi, ormai in rovina e parzialmente sommersa, e riviviamo il combattimento contro i due golem. Poi i resti delle statue si animano e due sagome nere, dai contorni incerti, si levano e paiono diventare grandi come montagne; una sensazione di folle terrore c'invade, prendiamo a fuggire e ci svegliamo.

Al mattino, Mottlegrasp è pronto a fornirci il proprio rapporto, che è sorprendentemente breve: tutto ciò che il disco fa è trasmettere un segnale quando viene rotto; la parte misteriosa è che non c'è verso di capire a chi sia indirizzato detto segnale.

A malincuore, capiamo che ormai è giunto il tempo di partire, aiutati in questo dal fatto che il mago ha tutta l'aria di chi ha in serbo un'infinita serie di lavoretti per quanti volessero rimanere a fargli compagnia. E noi, che preferiamo morte certa a qualsiasi tipo di lavoro, capiamo l'antifona al volo.

Ci allontaniamo di una mezza giornata di cammino, procedendo in direzione del villaggio che si trova a tre giorni di marcia dalla casa di Mottlegrasp. La distanza di sicurezza è stata valutata in maniera tale che, qualunque disgrazia la nostra prossima mossa possa scatenare, difficilmente riesca a raggiungere il Gentile Ospite che tuttavia mai vorremmo vedere adirato perché gli abbiamo involontariamente incenerito il frutteto.

Tale mossa è, in effetti, potenzialmente pericolosa, dato che non ne conosciamo gli effetti (come di quasi tutto quello che facciamo, a ben pensarci): decidiamo infatti di rompere il disco nutrendo la flebile speranza che il segnale non serva ad attirare su di noi le orde degli inferi.

Per sicurezza, Valadriel romperà il disco mentre tutti ci terremo stretti a lui. Non appena il paladino compie il gesto, s'ode un tintinnio molto forte, un rintocco armonico, ma poi non succede nulla. Il rintocco però seguita a farsi sentire e la nota che udiamo pare assumere un colore: ci sembra di vedere un suono color verde smeraldo, molto intenso. Mentre ci chiediamo se per caso all'interno del disco non si celasse della roba molto buona, ci accorgiamo che qualcosa si dirige verso di noi a grande velocità: pare uno sciame di schegge luminose che all'ultimo momento si separano; ognuna di esse, di un colore leggermente diverso dall'altra, colpisce uno di noi. Abbagliati dalla luce, ci sentiamo come tirati in tre direzioni diverse.

Stiamo volando in un luogo oscuro. Attraversiamo velocissimi intricati disegni luminosi e poi, bruscamente, atterriamo barcollando, ancora abbagliati. Quando recuperiamo la vista scopriamo di trovarci su un piacevole e fresco prato verde, dall'erba bassa e ben curata. Intorno a noi vi sono alberi, mentre il cielo azzuro ha uno strano aspetto "slavato"; la cosa più strana, tuttavia, è che non riusciamo a vedere il sole.

Qualcuno tossicchia alle nostre spalle. Seduta a un basso tavolino di pietra, una figura umanoide alta e allampanata attira la nostra attenzione: pare una statua di candido marmo, ma abbigliata con una lunga veste grigia e con piccole borse che le pendono dalla cintura.

Quando s'inchina verso di noi e ci dice «Bentornati» capiamo che non è una statua. Non perché statue in grado di muoversi siano una rarità, ma perché generalmente le statue in grado di muoversi ci pestano a sangue, mica ci salutano cordialmente.

Evidentemente il pallidone ci conosce, ma i nostri sguardi da cernia gli fanno capire immediatamente che noi non ricordiamo lui. «Il vostro ritorno qui avrebbe dovuto farvi ricordare tutto» mormora perplesso l'ospite, il quale rapidamente ci informa che siamo partiti da qui - un luogo in cui nessun "esterno" metteva piede da 3.000 anni - sei giorni prima.

Ci troviamo - ci viene spiegato apparentemente per la seconda volta - nella grande e magnifica città del Profondo Imaskar. I due chierici e lo Scuro conoscono, almeno di fama, questo nome, e sanno che si trova al di sotto dei continenti di Toril.

La statua-che-statua-non-è si chiama Drayleh e ci conduce quindi in un posto più tranquillo di questo, che apprendiamo essere la Corte di Giustizia. Prima di andare ci fa bere dei cordiali - un liquore azzurro dall'intenso profumo, molto forte, a base du funghi - preparati apposta per noi e ci indica degli abiti, poggiati sul tavolino, che ci permetteranno di confonderci un po' meglio tra gli abitanti locali.

Gli abiti sono completi di manto e di cappuccio che, tirato sul volto, l'oscura completamente; comodi, sono fatti di seta pura. L'ultimo dettaglio prima di allontanarci da qui consiste nell'avvolgere con uno spago speciale gli oggetti che forniscono uno spazio extradimensionale: senza questo accorgimento, infatti, se entrassimo in un edificio esploderebbero.

Ci spostiamo nel palazzo di Drayleh, il quale prende a chiederci già mentre camminiamo delle parole dell'oracolo, usando - notiamo - un linguaggio arcaico. Drayleh ci guida verso due alberi, nello spazio tra i quali l'aria diventa come più scura e lascia intravvedere un corridoio di marmo, sormontato da una volta a botte e decorato con sculture e bassorilievi. Entriamo, e vediamo che due figure, anch'esse simili a statue e delle quali una tiene in mano una lunga verga di legno, ci seguono a una certa distanza.

Il corridoio termina con dei gradini in discesa; si apre quindi uno spazio, un'enorme caverna. Il paesaggio è costituito da grandi edifici di diverse forme geometriche e tutti policromi; la caverna - stimiamo - dev'essere larga almeno 15 km ed è molto lunga. Gli edifici sono costruiti anche sulle pareti curve, e tra di essi vi sono diverse passerelle; la città è tutt'altro che deserta: notiamo diverse figure che vi si muovono, alcune delle quali volando.

Sopra le nostre teste notiamo drappeggiati diversi teli e stoffe colorati, resi laceri dal tempo, e sul fondo della caverna una specie di complicato disegno che pare ritrarre un sole e somiglia moltissimo a quello che abbiamo visto sulle porte nella ziqqurat; sembra decisamente un sigillo magico, ma è grande molte centinaia di metri, ed è questo che illumina la caverna.

Mentre avanziamo, notiamo persone circonfuse da auree luminose e vestite in modi diversi. Giungiamo ai piedi di una torre e iniziamo a salire lungo una scala a chiocciola esterna; poi attraversiamo un arco, quindi un balconcino che si trova ad almeno 20 metri dal suolo e quindi, quando ci siamo completamente persi e stiamo per dare di stomaco, ci fermiamo in una torre larga una dozzina di metri che però include una stanza che misura 10x10 metri; e dà su alcune porte che contengono altrettante stanze. Mentre stiamo sospettando di aver sbagliato avventura e di essere finiti in un TARDIS, prendiamo nota dell'arredamento - siamo in quello che pare un enorme atrio, ornato con statue, colonne e stoffe colorate - e due esseri ci vengono incontro, inchinandosi, e si offrono di prendere i nostri mantelli.

Veniamo condotti verso una porta, oltre la quale si apre un corridoio lungo una decina di metri, in fondo al quale s'apre una finestra e sulla pareti del quale vediamo alcune porte. Nel breve tragitto Balthazar attiva la modalità guida turistica e spiega che Imaskare era uno dei più grandi imperi magici del passato, decaduto e distrutto migliaia di anni fa. Il posto in cui siamo non dovrebbe esistere: Imaskar è stato completamente distrutto da una rivolta di schiavi. Cerchiamo di far sì che la notizia non arrivi alle orecchie di Drayleh, per timore che si renda conto all'improvviso di non dover esistere e scompaia all'improvviso insieme a tutta la torre, facendoci precipiatare sul fondo della caverna con un effetto Wile E. Coyote in piena regola.

Ci fermiamo finalmente in una stanza sfavillante di luce e stoffe dorate. Vi sono comode poltrone, morbidi cuscini, una fontana, un letto invitante e, mai sottovalutarlo, un lauto banchetto. Altro che Mottlegrasp.

Drayleh interrompe la contemplazione di tutto quel ben degli dei per chiederci nuovamente delle parole dell'oracolo, essendo già stato ignorato una volta. A noi piacerebbe tuttavia sapere chi è lui; fraintendendo la domanda - ci basterebbe un «Quello che vi sfama e vi fa riposare» - ci spiega di essere il Custode degli approcci (sospettiamo che si tratti di una sorta di pappone locale, l'arredamento pacchiano parrebbe confermare) e di seguire quel gruppo di abitanti di Imaskar autorizzato dal Lord Pianificatore a occuparsi del mondo esterno. Alcuni dei suoi uomini ci hanno incontrati mentre cercavamo un oggetto che per loro ha un'enorme importanza - e di cui noi, naturalmente, non abbiamo memoria - e, poiché nessuno avrebbe dovuto conoscerlo, anziché farci a pezzi seduta stante hanno deciso di conoscerci un po' meglio, intuendo probabilmente che come minaccia siamo scarsini, ma come intrattenimento comico involontario potremmo essere impagabili.

Il grande sigillo che abbiamo notato sulla caverna - spiega Drayleh - protegge, nasconde e permette l'esistenza stessa della città; non appena usciremo da qui dimenticheremo tutto, come in effetti è già successo. La cosa strana è che tornando avremmo dovuto ricordare, o agli Imaskariani viene la gola secca a rispiegare da capo ogni cosa tutte le volte. Sarà per quello che hanno pochissimi contatti con gli esterni.

In ogni caso, *lui* non s'è dimenticato e si aspetta che gli riportiamo le due tavolette di alabastro che gli avevamo promesso; la terza - ci racconta - è già in città, ed è uno dei simboli dell'autorità del Lord Pianificatore. Potevamo così divinarla...

L'ultima volta che abbiamo chiacchierato con Drayleh (che si scrive "abbiamo chiacchierato con" ma si legge "siamo stati interrogati da") stavamo indagando sulla scomparsa di un potente artefatto: avevamo parlato delle Tavolette di Ao (che non sono quelle di alabastro, sennò sarebbe troppo facile), chiamate anche Le tavolette del fato, che sono 4, 5 o 9. Forse eravamo stati mandati da qualcuno - lui non lo sa e noi non ce lo ricordiamo - e tanto per aggiungere particolari inquietanti a particolari inquietanti ci specifica che stavamo indagando sulla sparizione «passata o possibile futura» di quegli oggetti.

Il disco di Valadriel, invece, ce l'aveva dato proprio lui: era l'unico modo di avvisarlo del fatto che la nostra missione aveva avuto successo.

Le tavolette che abbiamo riportato sono uno degli antichi simboli di potere della città. Erano state scolpite sullo stampo di una delle tavolette del fato e la loro riunificazione potrebbe dare un indizio su dove si trovi ora, o in futuro, quello che stiamo cercando.

Poniamo alcune domande su Valek, il cui nome ci ha perseguitato mentre eravamo nella necropoli, e scopriamo che era un tipo particolarmente infame, un negromante, membro della prima famiglia che spostò la città nel sottosuolo e che se ne andò prima che il sigillo venisse chiuso.

La raccolta di informazioni comprende due parole sui braccialetti - sono di antica fabbricazione di Imaskar, ma andrebbero studiati per saperne qualcosa di più - e la notizia secondo la quale probabilmente avremo la riconoscenza del Lord Pianificatore in persona, al quale cederemo le tavolette senza che alcuno, in tutto questo ciacolare, abbia accennato minimamente a una ricompensa.

La sessione termina il 1 Elesias 1383 + X + 5

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Ipse dixit

  • Qualcuno riflette sulla composizione del gruppo: «Non avete un mago, non avete un guerriero... ma che fate? Tutti chierici e minchioni!« (lo storico si sente rassicurato perché interpreta un chierico, eppure non potrebbe giurare di essere escluso dalla seconda categoria)
  • Balthazar si è appena fatto consegnare un diapason d'acciaio da Mottlegrasp, come focus per Spostamento Planare verso il Primo Piano Materiale. Il mago osserva con aria interrogativa Capitan Felafel, evidentemente chiedendosi se anch'egli abbia bisogno di un attrezzo analogo, già che c'è. Conscio del fatto che il giocatore di Balthazar è Tia, il chierico di Io risponde serafico: «A me non serve. Aspetto che muoia lui...»

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